BOLOGNA - Una vedova, madre di due figli minorenni, dovrà restituire duecentomila euro alla compagnia assicurativa che in primo grado era stata condannata a versarle l’indennizzo per la morte del marito, deceduto il 27 marzo 2020 a causa delle complicazioni dovute al Covid-19.
La decisione arriva dalla Corte d’Appello di Bologna, che ha ribaltato la sentenza del Tribunale di Parma, accogliendo integralmente le ragioni della compagnia. In primo grado, il tribunale emiliano – su istanza dell’avvocata Francesca Barbuti, legale della famiglia – aveva riconosciuto il diritto della donna a ricevere il premio previsto dalla polizza infortuni sulla vita stipulata dal marito, un impiegato nel settore della vendita di automobili.
I giudici bolognesi – Fiore, Rossi e Gaudioso – hanno invece stabilito che il decesso per Covid non può essere considerato un “infortunio” ai sensi del contratto assicurativo, poiché “nell’ipotesi del Covid-19 a risultare violenta non è tanto la causa, quanto l’effetto”.
La Corte ha spiegato che, pur trattandosi di una malattia dagli effetti improvvisi e devastanti, l’infezione virale non deriva da una causa violenta esterna, ma da un processo biologico, e pertanto non rientra nella definizione di infortunio.
Secondo la sentenza, “chi contrae una malattia infettiva si ammala, non si infortuna”, escludendo così l’applicabilità della clausola prevista dalla polizza. La donna è stata inoltre condannata a versare circa 24mila euro di spese legali, oltre alla restituzione dell’intero importo già ricevuto.
Il caso si inserisce in un dibattito giuridico ancora aperto sui risarcimenti legati ai decessi per Covid e sulla loro inclusione o meno nelle polizze assicurative stipulate prima della pandemia.
La Cassazione, in precedenti pronunce, ha ricordato che “nell’assicurazione privata non conta cosa sia un’infezione dal punto di vista clinico, ma cosa le parti abbiano voluto che fosse”, lasciando quindi spazio a interpretazioni diverse a seconda dei contratti.
In questo caso, però, la Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto che la volontà contrattuale fosse chiara: il Covid, pur essendo causa di morte, non può essere equiparato a un infortunio. La famiglia, assistita dall’avvocata Barbuti, sta ora valutando se ricorrere in Cassazione contro la decisione.