VENEZIA - L’unico film argentino in concorso (nella sezione Orizzonti Extra) alla 80a Mostra del Cinema di Venezia è diretto da una regista di origine italiana, Daniela Goggi.
L’omonimia con la soubrette di successo all’inizio degli anni ’80 sulla scia della più famosa e dotata sorella Loretta, e poi sparita dal mondo dello spettacolo, farà saltare qualcuno sulla sedia.
Ma “questa” Daniela Goggi è nata in Argentina 47 anni fa e ha al suo attivo vari film e serie tv.
Il film presentato a Venezia, El rapto (Il rapimento), rimanda alla fine della dittatura civico-militare argentina, durata dal 1976 al 1983.
Se si parla di vittime della dittatura, la comunità italiana in Argentina ha pagato un tributo molto alto, ma ha anche lottato per assicurare i colpevoli alla giustizia, come testimoniano storie come quelle di Lita Boitano, Vera Vigevani Jarach, Marco Bechis e tanti altri.
È proprio con il ritorno della democrazia, segnata dalle libere elezioni che porta alla presidenza il radicale Raúl Alfonsín, che molti esuli decidono di rientrare nel paese, per prendere parte al processo di ricostruzione e ritrovare i propri affetti.
Tra loro c’è Julio Levy (interpretato da Rodrigo de la Serna), appartenente a una famiglia di imprenditori di origine ebraica, politicamente orientati a sinistra (roba da fare andare il sangue agli occhi dei militari).
La gioia del ritorno viene bruscamente interrotta dal rapimento del fratello, che costringerà Julio ad affrontare di nuovi i suoi incubi e a prendere atto dell'impossibilità di voltare pagina.
Un punto di vista interessante, perché non si concentra sugli anni più feroci della dittatura (giù ampiamente trattati), ma su quelli immediatamente successivi. Con un presidente che fa processare i capi della Giunta, ma poi è costretto da sollevazioni militari a interrompere i processi ed emanare la legge sull’obediencia debida (obbedienza dovuta) che di fatto funzionò come un’amnistia. Lo racconta Argentina: 1985, di Santiago Mitre, presentato sempre a Venezia lo scorso anno.
Il film di Goggi indaga i rapporti tra i militari e i funzionari del governo di Alfonsín, le vendette incrociate nel mondo imprenditoriale, la corruzione delle forze dell’ordine.
Fa luce sull’esistenza di una rete di informatori, uomini dei servizi segreti, paramilitari e poliziotti che durante la dittatura si occupavano dei sequestri degli oppositori politici e che successivamente si ritrovano disoccupati. E pensano bene di capitalizzare l’expertise raggiunta dedicandosi ai rapimenti a scopo estorsivo.
Al tema è dedicato anche un altro film, El clan di Pablo Trapero (2015), che tuttavia non punta i riflettori sulla sistematicità di queste pratiche, mentre El rapto insiste proprio sugli aspetti politici e sociali. Vuole indagare che cosa succede a un paese che recupera la democrazia ma le cui strutture statali (sistema giudiziario, forze di polizia, pubblica amministrazione…) sono ancora legate al regime. Di più: sono costituite da uomini del regime.
La storia è ispirata al romanzo autobiografico di Martín Sívak, El salto de papà (Seix Barral, 2018).
Il film è stato accolto con favore e lunghi applausi dal pubblico. Dopo Venezia andrà al Film Festival di Toronto.