AVELLINO - I due clan ora sono in disarmo, decimati dai lutti e dagli arresti, ma nel Vallo di Lauro i nomi dei Graziano e dei Cava fanno ancora paura. Evocano una faida che dura ormai da più di trent’anni, con decine di vittime tra affiliati, fiancheggiatori, familiari e vittime innocenti. E vent’anni fa esatti la strage più efferata, l’episodio che segna uno spartiacque nella storia dei due clan, ma anche nella camorra campana in generale.

In quei giorni di fine primavera 2002 tre donne della famiglia Cava restano uccise, due ferite, e due ferite ci sono pure nella famiglia Graziano. A perdere la vita, la sorella del boss Biagio Cava, detto Biagino, Michelina Cava, la cognata Maria Scibelli, 53 anni, e la figlia Clarissa, di soli 16 anni. L’altra figlia del capolclan, Felicetta, 19 anni, resta ferita gravemente e non riprenderà mai più a camminare, mentre Itala Galeota Lenza, 51 anni, resterà ferita in modo meno grave.  

L’ultimo capitolo di questa guerra feroce però non è stato ancora scritto, perché un embrione è fallito sul nascere. Tre anni fa, i Graziano preparavano un’altra strage per eliminare la moglie e il figlio del boss rivale, Biagio Cava. Ma il ritrovamento casuale, nell’ambito di un’altra indagine, di un manichino di donna usato come bersaglio nelle campagne del Vallo di Lauro, ha fatto scattare l’attenzione degli inquirenti e in carcere sono finiti Fiore e Salvatore Graziano, i figli del capoclan Luigi Salvatore.

Nelle due famiglie di camorra si tramandano i nomi e l’odio. E’ dal 1991, quando a Scisciano furono uccisi tre esponenti dei Graziano, che le due famiglie, si affrontano a viso aperto o con agguati preparati meticolosamente. La famiglia Graziano rispose a una provocazione. Le quattro donne dei Cava quella domenica, quando nel piccolo centro del Vallo di Lauro si festeggiava il patrono e si votava per il rinnovo del consiglio comunale, decisero di mettersi in macchina e andare sotto casa dei Graziano per sparare. 

Forse le donne Cava volevano dare una dimostrazione di forza, rispondere a un torto subito nei giorni precedenti. Pensarono di trovare impreparato il vecchio capoclan Luigi Salvatore Graziano, e riuscire a ferire Stefania e Chiara, 20 e 21, figlie di Alba Scibelli e nipoti del boss, ma vennero inseguite e colpite. 

Le due famiglie si divisero tra il luogo della strage, via Cassese a Lauro, e il pronto soccorso dell’ospedale di Nola, dove un imponente servizio d’ordine evitò che si sparasse ancora. I protagonisti del conflitto a fuoco tra donne, anche se il boss Graziano pure vi prese parte, mettendosi nell’auto con la quale le sue donne inseguirono quelle dei Cava, vennero individuati in poco tempo e vennero eseguiti arresti nel corso della notte.

Gli investigatori intercettarono la famiglia Graziano che festeggiava. “Le abbiamo sterminate tutte”, dicevano brindando. La direzione distrettuale antimafia di Napoli ricostruì l’accaduto anche attraverso un’indagine già in corso. Il Vallo di Lauro in quegli anni era un cantiere aperto, per la ricostruzione seguita alla frana di Quindici del 1998. Lavori e denaro che un clan non voleva lasciare all’altro. Questa la ragione più evidente dei contrasti, ma sullo sfondo c’era sempre l’odio profondo tra le due famiglie.