SYDNEY – Il vescovo assiro ortodosso Mar Mari Emmanuel, accoltellato due settimane fa durante la celebrazione di una messa trasmessa in diretta via streaming, è tornato nella stessa chiesa per pronunciare il primo sermone dall’attentato descritto dalla polizia come terroristico.
Immediatamente dopo l’aggressione, avvenuta il 15 aprile presso la Christ The Good Shepherd Church di Wakeley, nella zona sudoccidentale di Sydney, centinaia di persone hanno dato vita ad una violenta protesta davanti alla chiesa, e si sono scontrati con la polizia che ha faticato a riportare la calma. Dieci persone sono state arrestate per i disordini (sei ragazzi tra i 14 e i 17 anni sono stati incriminati per reati terroristici), in una maxioperazione che ha visto coinvolti la polizia del NSW e quella federale, oltre a varie agenzie di intelligence.
Un ragazzo di sedici anni, arrestato per l’accoltellamento e incriminato per reati terroristici, rimane ancora in custodia.
Nel suo sermone il vescovo Mar Mari Emmanuel, dopo aver ringraziato tutti coloro che gli hanno inviato messaggi di solidarietà, parlando del suo aggressore ha detto: “Al giovane che mi ha attaccato due settimane fa dico: mio caro, sarai sempre mio figlio”.
A commento della reazione avuta da vari esponenti politici all’aggressione, il vescovo ha ribadito l’importanza della libertà di parola: “Ogni essere umano ha diritto alla libertà di parola e di religione”.
La settimana scorsa la disputa tra la Commissaria della eSafety, per la regolamentazione dei contenuti online, Julie Inman Grant e la piattaforma digitale X (ex Twitter), per la rimozione dai social media dei filmati dell’aggressione, è finita davanti al Tribunale Federale.
I legali che rappresentano gli interessi di X hanno argomentato che l’estensione dell’ingiunzione sui filmati è un’esagerazione, sottolineando di potere disporre di una dichiarazione giurata del vescovo, nel quale il prelato auspica che il filmato rimanga in rete.
Intanto stanno emergendo le prime informazioni sull’aggressore del vescovo, che non può venire identificato per ragioni legali.
Il minorenne in custodia, che rischia l’ergastolo se condannato per reati terroristici, soffre da anni di disturbi comportamentali e ha avuto interazioni con estremisti online, e - la polizia sospetta - rapporti con un ex membro dello Stato islamico.
I genitori del ragazzo, intervistati dal programma d’approfondimento dell’ABC 7.30, hanno respinto l’ipotesi che il figlio possa essere un terrorista, ma hanno ammesso che è sempre stato un bambino violento, con seri problemi di gestione della rabbia, disturbi psichiatrici e nello spettro autistico, e dall’età di 13 anni in cura da uno psicologo.
La madre del ragazzo ha detto che il figlio dallo scorso anno non frequentava più la scuola perché veniva costantemente sospeso per atti violenti, che commetteva anche a casa.
Nei mesi precedenti all’attentato, il minorenne, un sostenitore del predicatore radicale americano Sheikh Ahmad Musa, popolare nelle fila del terrorismo islamico, ha avuto svariate interazioni con elementi dell’estremismo australiano.
Un’ora prima dell’accoltellamento, il sedicenne in un messaggio su Instagram ‘taggato’ al profilo di estremisti britannici che incoraggiano i loro sostenitori a martirizzarsi, ha implorato i musulmani a “puntare gli occhi sui miscredenti e conseguire la vittoria sui loro nemici”.
“Era un chiaro messaggio del fatto che sia stato motivato ad agire in base al suo credo", ha commentato l’esperta di estremismo giovanile, Peta Lowe, ex direttrice di Countering Violent Extremism for NSW.