ROMA - Promettevano visti facili in cambio di mazzette: per questo i finanzieri del Comando provinciale di Roma hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare personale nei confronti di cinque persone - due in carcere e tre ai domiciliari - per le ipotesi di reato di corruzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Roma, costituisce l’epilogo delle indagini coordinate dalla Procura capitolina ed eseguite dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria, nel cui ambito sono stati raccolti “gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati”, che avrebbero allestito, con la regia di un imprenditore extracomunitario residente a Roma, un imponente traffico illegale di ingressi in Italia, sfruttando le opportunità fornite dal decreto flussi.
Lo schema illecito avrebbe visto il coinvolgimento di due cittadini italiani, entrambi dipendenti del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e impiegati all’ufficio visti dell’ambasciata di Dacca, in Bangladesh.
I due, ora accusati di corruzione e sottoposti ai domiciliari, avrebbero accettato utilità di vario tipo (denaro, dispositivi elettronici, orologi, viaggi e investimenti immobiliari), in cambio della loro agevolazione sulla gestione delle pratiche relative al rilascio dei visti in favore di soggetti extracomunitari segnalati dagli altri indagati.
Per ottenere il visto, sostanzialmente, gli indagati avrebbero reperito titolari formali di società italiane i quali, dietro compenso, si sarebbero prestati ad assumere fittiziamente i soggetti extracomunitari, al solo fine di fornire la documentazione necessaria a presentare l’istanza telematica finalizzata al rilascio del nulla osta per l’ingresso in Italia.
Sempre secondo l’accusa, gli extracomunitari di stanza in Italia chiedevano poi ai loro connazionali da regolarizzare ingenti somme di denaro, in parte in misura fissa e in parte in proporzione ai futuri guadagni lavorativi.