L’Italia uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale si è specchiata nei suoi film. Il Paese, piegato dai lutti che hanno accompagnato il conflitto, si è ritrovato nelle sue opere. Opere che rappresentano una pagina indimenticabile dell’autobiografia di una generazione di italiani che ha rialzato la testa dopo aver patito la povertà e lo smarrimento. Da “Sciuscià” a “Ladri di biciclette”, l’arte di Vittorio De Sica, nato a Sora (Frosinone) 120 anni fa e morto a Neuilly-sur-Seine, in Francia, il 13 novembre 1974, continua a parlare agli appassionati della Settima Arte.

Maestro del neorealismo, uno dei maggiori registi e interpreti della commedia all’italiana, De Sica ha legato il suo nome a una carriera ricca e varia, costellata da numerosi successi. Come quando, con “Sciuscià”, film che ha diretto nel 1946, ha vinto l’Oscar al miglior film in lingua straniera, all’epoca consegnato come Oscar onorario. Un riconoscimento ottenuto perché, come recita la motivazione, “l’alta qualità di questo film, mostrata con eloquenza in un Paese ferito dalla guerra, è la prova per il mondo che lo spirito creativo può trionfare sulle avversità”.

Spirito creativo e desiderio di sopravvivenza che caratterizzano la pellicola nella quale Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi, due ragazzi presi dalla strada, interpretano il ruolo di due piccoli lustrascarpe, gli “sciuscià” appunto, che si arrabattano sul marciapiede di via Veneto a Roma. Un altro caposaldo del neorealismo di De Sica è “Ladri di biciclette”, un film del 1948 considerato un vero e proprio classico nella storia del cinema di casa nostra. 

Il cinema neorealista è caratterizzato da trame ambientate in massima parte fra le classi disagiate e lavoratrici, con lunghe riprese all’aperto, e utilizza spesso attori non professionisti per le parti secondarie e a volte anche per quelle primarie. I film trattano soprattutto la situazione economica e morale del dopoguerra italiano, e riflettono i cambiamenti nei sentimenti e le condizioni di vita: speranza, riscatto, desiderio di lasciarsi il passato alle spalle e di cominciare una nuova vita, frustrazione, povertà, disperazione. 

Per una maggiore fedeltà alla realtà quotidiana, nei primi anni di sviluppo e di diffusione del neorealismo i film vennero spesso girati in esterno, sullo sfondo delle devastazioni belliche; d’altra parte, il complesso di studi cinematografici che era stato, dall’aprile del 1937, il centro della produzione cinematografica italiana, ossia Cinecittà, fu occupato nell’immediato dopoguerra dagli sfollati, risultando quindi temporaneamente indisponibile ai registi.

Non solo neorealismo, però, per De Sica. Nella sua lunga produzione c’è ancora spazio per altri generi e altri film. E’ il caso de “La ciociara” del 1960, tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia e interpretato da Sophia Loren. Un ruolo che le è valso il Nastro d’argento, il David di Donatello, la Palma d’oro al Festival di Cannes e il premio Oscar per la miglior attrice. Un altro film da Oscar è “Ieri, oggi e domani” (1963), interpretato ancora dalla Loren e Marcello Mastroianni.

Pellicola che rappresenta i principi della commedia all’italiana, il film fu premiato nel 1965, come migliore film straniero. Indimenticabile la scena dello spogliarello della Loren di fronte a un Mastroianni rapito dal fascino femminile esercitato dall’attrice. Dopo “Matrimonio all’italiana” del 1964, soggetto tratto da “Filomena Marturano” sempre con la coppia Loren-Mastroianni, De Sica ha poi ottenuto un ulteriore premio Oscar per il film del 1970 “Il giardino dei Finzi Contini”, tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, premiato anche con l’Orso d’oro al Festival di Berlino del 1971. L’ultimo film di De Sica è la riduzione di una novella di Luigi Pirandello, “Il viaggio”, che risale al 1974 e vede protagonisti la Loren e Richard Burton. 

Sul grande schermo, dopo alcune partecipazioni a film muti, diventò un divo tra i più richiesti con molte commedie garbate e gradevoli tutte dirette da Mario Camerini: tra queste si ricordano “Gli uomini, che mascalzoni...”, in cui lanciò la celeberrima canzone “Parlami d’amore Mariù”, suo cavallo di battaglia per il resto della carriera, quindi “Darò un milione”, “Il signor Max”, “I grandi magazzini” e “Manon Lescaut”.

Anche una volta iniziata la sua prestigiosa attività come regista continuò a recitare: apparve in un centinaio di pellicole, anche in brevi ruoli di contorno. Nei primi anni ‘50 colse come interprete un notevole successo di pubblico con due pellicole nelle quali recitò a fianco di Gina Lollobrigida: “Altri tempi-Zibaldone n. 1”, nell’episodio Il processo di Frine, quindi in “Pane, amore e fantasia”, film che ebbe un enorme successo, così come i due sèguiti “Pane, amore e gelosia”, sempre a fianco di Gina Lollobrigida, e “Pane, amore e...” del 1956, questa volta a fianco di Sophia Loren. Divertente la sua interpretazione al fianco di Totò in I due marescialli (1961). 
Ebbe anche un proficuo rapporto con Alberto Sordi con il quale recitò in diversi film, tra i quali sono da menzionare “Il conte Max”, “Il moralista” e “Il vigile”.