BUENOS AIRES – Si definisce un “estremista del garantismo”. Di fatto, le idee di Vittorio Manes (professore ordinario di Diritto penale all’Università di Bologna) sono totalmente controcorrente rispetto alle politiche attuali sulla sicurezza e la lotta alla criminalità organizzata e al narcotraffico. Sia in Italia, sia in Argentina, dove il governo ha adottato il pugno duro del presidente salvadoregno Nayib Bukele.
La visita di Manes in Argentina è stata fortemente voluta dal Circolo Giuridico d’Argentina, una Ong che lavora per la diffusione della legalità, in collaborazione con Libera, l’organizzazione antimafia fondata da don Luigi Ciotti. Manes ha tenuto a una serie di incontri e lezioni con colleghi giuristi in diverse città.
“Non è attraverso il diritto penale che si contrasta la mafia – esordisce –. La legge penale serve per reprimere fatti puntuali, ma se diventa uno strumento per contrastare un fenomeno sociale, non darà buoni risultati”.
Manes è stato difensore di Bruno Contrada e del generale Mario Mori, ufficiali italiani impegnati nella lotta alla mafia e successivamente accusati di contiguità con i boss.
“Il sistema italiano è fortemente sensibile ma poco accurato – spiega – e per questo rischia di fare emergere ‘falsi positivi’, ossia di accusare innocenti. E noi sappiamo che in democrazia vale il principio che è meglio un delinquente in libertà che un innocente dietro le sbarre”.
Per Manes è fondamentale la ricerca di un equilibrio tra il contrasto alla criminalità e il rispetto delle libertà. Per questo mette in guardia dai processi mediatici.
“I processi si fanno in tribunale con le prove legalmente acquisite – afferma –. Al contrario, il processo mediatico è tutto schiacciato sulla parte preliminare, con il rischio di fare prevalere una sola narrazione”. Questo fa sì che i giudici stessi non si sentano liberi. “Soprattutto con un’opinione pubblica colpevolista” sottolinea.
Certo, sono posizioni impopolari. “Valori che è difficile portare avanti e far comprendere” sottolinea. Ed elenca i dati sulla situazione delle carceri in Italia, con 78 suicidi di detenuti nel 2024 e un tasso di affollamento del 120 per cento.
Punta il dito soprattutto sul sistema delle carceri minorili. “Educare un minore attraverso la prigione è come insegnare a una persona a nuotare fuori dall’acqua – afferma –. Il carcere andrebbe usato solo per neutralizzare le persone socialmente pericolose, non per rieducare. Con questo non voglio abolire il diritto penale, solo penso che possano esistere altri strumenti. Ma la politica ha scoperto che le leggi penali sono a costo zero”.
Malena Errico, presidente del Circolo Giuridico, ritiene molto importante la visita di Vittorio Manes, “che ci invita a togliere i paraocchi – dice – per guardare oltre le soluzioni strettamente punitive e cercare una politica antimafia che combini il controllo del crimine con politiche sociali che contribuiscono a una reale trasformazione delle comunità colpite”.
Rispetto alle esperienze latinoamericane e argentine, l’approccio antimafia italiano viene preso in considerazione soprattutto nelle sue parti che riguardano il rafforzamento del potere di polizia e l’uso di misure preventive, che il più delle volte entrano in tensione con le garanzie individuali.
“Come Circolo Giuridico, cerchiamo di andare oltre, affrontando le radici sociali ed economiche della criminalità organizzata” continua Errico, ricordando l’incontro, poche settimane fa, a Buenos Aires, con Marta Cartabia (ex presidente della Corte Costituzionale italiana ed ex ministra della Giustizia).
“Concordiamo con la visione di Cartabia su politiche che favoriscano lo sviluppo e l’inclusione – conclude Enrico –. Trovare un equilibrio tra l’approccio repressivo dello Stato e la ‘giustizia sociale’ potrebbe offrire all’Argentina e all’America Latina una strategia globale che riconosca sia la necessità di controllare il crimine, sia la costruzione della resilienza della comunità e delle pari opportunità”.