CANBERRA - Il governo federale ha ufficialmente escluso l’introduzione di un “climate trigger” nella riforma delle leggi ambientali, confermando che non sarà previsto alcun meccanismo per bloccare progetti di carbone e gas in base al loro impatto sulle emissioni di gas serra. La decisione, annunciata dal ministro dell’Ambiente Murray Watt, segna una sconfitta per i Verdi, che avevano fatto del “climate trigger” una condizione per sostenere la riforma.
In compenso, il governo introdurrà per la prima volta l’obbligo per i grandi progetti industriali di dichiarare le proprie emissioni e di presentare piani per la riduzione a zero entro il 2050. “È un passo avanti importante per dare fiducia alla comunità che i proponenti prendono sul serio le emissioni di gas serra - ha dichiarato Watt -. Allo stesso tempo, questa riforma esclude ufficialmente il climate trigger, ma introduce nuovi doveri di trasparenza”.
Secondo la bozza di legge, i progetti che superano le 100mila tonnellate di CO₂ equivalenti all’anno dovranno indicare nel dossier ambientale il volume delle emissioni previste e le misure di mitigazione. Lo schema sarà allineato con il Safeguard Mechanism, che impone ai grandi inquinatori di ridurre le emissioni del 5% l’anno fino al raggiungimento della neutralità climatica nel 2050.
La mossa è stata accolta positivamente dall’opposizione. Il ministro ombra dell’Ambiente Angie Bell ha rivendicato la decisione come “una vittoria del buonsenso dopo pressioni sostenute”. Ha aggiunto che il governo ha accettato di mantenere il potere decisionale nelle mani del ministro, mentre la nuova Environment Protection Agency si limiterà a funzioni di audit e controllo. “Abbiamo garantito un equilibrio tra industria e tutela ambientale, evitando duplicazioni e costi superflui”, ha affermato Bell.
Watt ha difeso il compromesso come “un pacchetto equilibrato” che “offre vantaggi concreti sia per l’ambiente che per le imprese”. Il ministro ha inoltre ricordato che l’introduzione di un climate trigger non era raccomandata nella revisione Samuel, che aveva definito le leggi ambientali australiane “inadeguate e frammentate”.
La riforma prevede anche nuovi poteri sanzionatori: le aziende potranno essere multate fino a 825 milioni di dollari e private dei profitti derivanti da violazioni ambientali, mentre il governo avrà la facoltà di ordinare l’immediata sospensione dei lavori nei casi di danni gravi o rischi imminenti.
Secondo Watt, queste misure “daranno agli australiani la certezza che chi inquina e danneggia l’ambiente non potrà trarne vantaggio economico”. Tuttavia, l’assenza del “climate trigger” apre un nuovo fronte politico, con i Verdi pronti a ostacolare in Parlamento la riforma che, nelle intenzioni di Canberra, doveva rappresentare una svolta nella politica ambientale australiana.