KIEV - Il percorso verso una possibile pace in Ucraina si dimostra ancora molto complesso anche se, sul fronte delle garanzie di sicurezza per Kiev emergono segnali positivi che potrebbero dare nuovo impulso ai negoziati. Secondo fonti statunitensi citate da Axios, l’amministrazione americana sarebbe ora disposta a offrire all’Ucraina garanzie di sicurezza vincolanti, fondate su un impegno ispirato all’articolo 5 della Nato e approvato dal Congresso degli Stati Uniti. 

Si tratterebbe di un passaggio rilevante, perché trasformerebbe il sostegno politico e militare in un obbligo giuridico, pur senza rappresentare un ‘assegno in bianco’ a favore di Kiev. Le cancellerie europee concordano sul fatto che garanzie realmente credibili per l’Ucraina non possano prescindere da un impegno scritto e formalizzato anche da parte di Washington.

In questo quadro si colloca la missione a Berlino dell’inviato statunitense Steve Witkoff, accompagnato da Jared Kushner, figura già coinvolta nei principali colloqui precedenti, incluso un incontro al Cremlino con Vladimir Putin. I due emissari sono stati inviati in Germania per incontrare Volodymyr Zelensky e i partner europei, durante una serie di incontri che si terranno nella capitale tedesca.

Per il vertice previsto per oggi e presieduto dal cancelliere Friedrich Merz, ci si aspetta la partecipazione di numerosi capi di Stato e di governo europei, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro britannico Keir Starmer, ma anche i vertici dell’Unione europea e della Nato, oltre al presidente ucraino e ai rappresentanti americani e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

Donald Trump, che negli ultimi giorni ha parlato di “molti progressi” nei contatti diplomatici, ha fatto sapere di non voler più sostenere incontri privi di risultati concreti. Proprio per questo, secondo fonti della Casa Bianca, l’invio di Witkoff e Kushner sarebbe stato deciso solo dopo aver intravisto margini reali per avanzare nel negoziato. 

Un eventuale accordo tra Stati Uniti ed Europa sul nodo delle garanzie di sicurezza, con il conseguente via libera di Kiev, consentirebbe di passare alla seconda e più delicata fase dei colloqui: quella territoriale. È su questo terreno che le posizioni restano più distanti.

Mosca continua a rivendicare il controllo totale del Donbass e propone la creazione di una zona economica demilitarizzata, sostenuta anche da pressioni americane affinché l’Ucraina si ritiri dalle aree ancora sotto il suo controllo. In cambio, la Russia sarebbe disposta a ritirarsi da alcune porzioni limitate delle regioni di Sumy, Kharkiv e Dnipropetrovsk, mantenendo però i territori già occupati nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia. 

La posizione ufficiale ucraina resta il rifiuto delle condizioni russe sui territori, sebbene il presidente Zelensky abbia mostrato segnali di maggiore flessibilità, dichiarandosi disposto a sottoporre eventuali compromessi a un referendum nazionale. Secondo fonti dell’amministrazione Trump, questa opzione sarebbe sostenuta sia dagli Stati Uniti sia da diversi partner europei, pur con la consapevolezza che organizzare una consultazione popolare in un Paese in guerra rappresenterebbe una sfida enorme sul piano logistico e della sicurezza.

Parallelamente ai negoziati sulla pace, cresce la tensione sul fronte degli asset russi congelati nell’Unione europea. Bruxelles ha deciso il blocco a tempo indeterminato dei beni sovrani russi, per un valore complessivo di circa 210 miliardi di euro, di cui circa 185 miliardi custoditi da Euroclear. Mosca ha reagito duramente, annunciando azioni legali e minacciando ritorsioni.

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha definito il congelamento “un atto assolutamente illegale” e “un furto palese”, accusando l’Ue di violare il diritto internazionale e di voler sabotare le iniziative di pace sostenute dagli Stati Uniti. Anche all’interno dell’Unione europea il dossier resta controverso. La decisione sull’eventuale utilizzo degli asset per finanziare l’Ucraina richiede l’unanimità dei Ventisette e incontra resistenze significative. 

Il governo italiano, da parte sua, ha assunto una posizione cauta, anche se il vicepremier Matteo Salvini ha definito il congelamento indeterminato dei beni russi “un azzardo e un’imprudenza”, ricordando che in Russia operano oltre 300 aziende italiane e avvertendo del rischio di ritorsioni economiche.

Dal canto suo, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha distinto tra il congelamento degli asset e il loro utilizzo, sottolineando le “serie perplessità giuridiche” legate a una possibile confisca.