CANBERRA - Le sue dichiarazioni, a tre giorni da quello delle elezioni federali, hanno scatenato un terremoto politico. Parlando al podcast Betoota Talks, il ministro degli Esteri ha paragonato la questione della Voce – un organo indigeno consultivo – alla legalizzazione del matrimonio egualitario, sostenendo che tra dieci anni sarà vista come una battaglia superata.

Tuttavia, il referendum del 2023 ha respinto la proposta con un netto 60% contro 40%, bocciandola in tutti gli stati. Le sue parole hanno costretto il Partito laburista a intervenire precipitosamente: un portavoce ha precisato che Wong stava riflettendo sul dibattito più ampio sulla riconciliazione, non riaprendo il tema della Voce.

Più tardi, Wong ha ritrattato, ospite di SBS ha detto: “La Voice è finita. Il primo ministro lo ha chiarito, e rispettiamo il risultato del referendum”. Wong ha però sottolineato che la riconciliazione e il lavoro per colmare le disuguaglianze devono continuare, con altri schemi e iniziative.

Anthony Albanese ha ribadito durante un dibattito televisivo che non ci sarà un secondo referendum. Ma le esitazioni di Wong al Senato, dove ha evitato di rispondere direttamente alla domanda sul futuro di Voice, Treaty and Truth, hanno alimentato i sospetti dell’opposizione.

Peter Dutton ha colto l’occasione, accusando Wong di aver svelato un piano tenuto celato per introdurre la Voce per via legislativa, definendolo uno dei primi atti di un ipotetico governo Labor-Verdi uscito dalle elezioni di questo sabato. Dutton ha invitato gli elettori a inviare un messaggio chiaro al Partito laburista, respingendo qualsiasi tentativo di reintrodurre la Voce contro la volontà espressa dagli australiani nel referendum.