BUENOS AIRES – Rara avis, un uccello raro. Così lo ha definito Francisco Tosi, anfitrione con Federico Máximo Kralj delle Cene del lunedì del Círculo Italiano.

In effetti Claudio Zin, “uccello raro”, un po’ lo è. Poliedrico, inquieto, alla continua ricerca di esperienze.

Nato a Bolzano, è arrivato in Argentina con la famiglia a 5 anni. Rientrato a 15 anni in Italia, è poi tornato in Argentina, dove si è laureato in medicina all’Università di Buenos Aires.

È un cardiologo prestato alla politica. O un politico (nel senso di gestore della “cosa pubblica”) della medicina.

In Italia è stato senatore (Maie) per i cittadini all’estero dal 2012 al 2018. E ancora prima (2007–2009), ministro alla Salute della provincia di Buenos Aires durante il governo di Daniel Scioli.

Ha fondato il Ciaae (Centro italo-argentino de altos estudios) dell’Università di Buenos Aires, convinto dell’importanza di potare avanti progetti di formazione congiunti. Proprio il Ciaae organizza ogni anno il corso per giovani dirigenti di istituzioni italiane in Argentina, fortemente voluto dall’ex Console Marco Petacco, nella convinzione che l’associazionismo italiano ha bisogno di forze e idee giovani per continuare a prosperare.

Oggi Zin si occupa di divulgazione scientifica, educazione alla salute e politiche sanitarie. Ed è su questo tema che si è concentrato nella sua dissertazione.

“Ricordate il 2020 e il Covid? – ha esordito –. Tutti avevamo paura. I governi non sapevano che fare e inseguivano l’emergenza. Prima la corsa a comprare respiratori, poi la corsa a comprare vaccini. Nessuno ha pensato di iniziare a valorizzare il pilastro della salute pubblica: le persone”.

Respiratori contro medici e infermieri. “Hanno vinto i respiratori – afferma Zin –. Così oggi ci ritroviamo con respiratori di cui non sappiamo cosa fare e pochi medici e infermieri, oltretutto mal pagati e demotivati”.

Zin ha analizzato il sistema della salute in Argentina, basato su tre subsistemi che coesistono ma non dialogano: quello pubblico degli ospedali e dei centri di salute, le obras sociales (mutue di categoria) e le prepagas (assicurazioni sanitarie private).

“Questo comporta uno spreco di risorse – afferma –. Che senso ha che il sindacato dei pasticceri abbia una propria clinica con posti letto vacanti a cui non possono accedere cittadini non iscritti al sindacato?”

Per non parlare dei conflitti di competenze e delle sovrapposizioni tra Provincie e Stato federale, a cui si aggiunge la disparità di risorse, che comporta una sanità di serie A o serie C a seconda del territorio.

Anche il settore farmaceutico deve essere riordinato. “A seconda della copertura assicurativa e degli accordi stretti con l’industria del farmaco, ogni cittadino ha diritto a uno sconto diverso sul prezzo di vendita – dice –. Chi il 40 per cento, chi il 60 per cento”.

Il politico guarda al Sistema sanitario italiano, “dove per i farmaci – dice – si paga un ticket uguale per tutti, salvo gli esentati per reddito o malattia cronica. Dove il sistema pubblico offre il medico di famiglia e il pediatra di libera scelta”.

Parole che arrivano proprio in coincidenza con l’annuncio, da parte del Governo, dell’introduzione graduale in tutto il Paese della ricetta elettronica, con il quale la tradizionale ricetta cartacea sarà sostituita da quella digitale, attraverso piattaforme in grado di dialogare tra loro, con l’obiettivo di rendere più efficiente il sistema ed evitare contraffazioni.

Il problema, per Zin, non è la digitalizzazione (benché la creazione di una piattaforma elettronica unica sarebbe comunque un passo avanti) ma le politiche di Stato. “Che devono valorizzare i lavoratori e incoraggiare i giovani a studiare medicina – ribadisce –. Oppure tra qualche anno ci ritroveremo con enormi problemi. Tutti sanno ‘cosa’ bisogna fare, ma nessuno sa dire ‘come’ farlo”.