Erano in quattro, sono rimasti in due e vogliono contare: Pauline Hanson e Peter Georgiou, dopo avere dato l’impressione di essere della partita, non sembrano più intenzionati a dire sì alla seconda fase della riduzione delle tasse per le imprese, quella che riguarda le aziende con un giro d’affari superiore ai 50 milioni di dollari l’anno. Una riduzione da completare nell’arco di dieci anni facendo scendere il carico tributario dall’attuale 30 al 25 per cento, comunque superiore a quello imposto già da ora dalla maggior parte dei Paesi industrializzati. One Nation dirà ‘no’, ha detto ieri la leader del partito in avviata fase di disintegrazione, rendendo ancora più interessante l’ultima settimana di lavori parlamentari prima della lunga pausa invernale.

Il ministro delle Finanze, Mathias Cormann, che la scorsa settimana è riuscito ad assicurare al governo i voti necessari nel Senato per far passare la riforma fiscale sul reddito, del valore di 144 miliardi di dollari, che sarà completata nell’arco di sette anni, non demorde: continuerà a negoziare con il sempre più frastagliato gruppo misto del Senato, ringraziando Anthony Albanese per il suo strategico posizionamento anti-Shorten.

Il ministro ombra dei Trasporti e delle Infrastrutture venerdì sera ha fatto una scelta ben precisa lasciando partire una inaspettata bordata contro il leader dell’opposizione e la sua campagna imperniata su una specie di guerra di classe. Albanese è da troppo tempo nell’agone politico per non avere studiato attentamente la mossa, per non avere scelto con una ragionata strategia i tempi d’intervento e non avere preso in considerazione le conseguenze delle sue parole. Ha messo sul tavolo il suo piano d’alternativa prendendo le dovute distanze dal negativismo di Shorten.

L’ex ministro dei governi Rudd e Gillard ha auspicato un cambiamento di direzione per il Partito laburista, un approccio in stile Hawke per ciò che riguarda il dialogo e il consenso, un riavvicinamento al mondo dell’impresa e un maggiore coinvolgimento degli iscritti al partito e ai sindacati nelle decisioni programmatiche del partito stesso. Il negoziato invece dello scontro, la concertazione, un dibattito costruttivo sulle cose da fare e su come farle. “Anche se si può non essere d’accordo sui tagli di tasse per le aziende o le riforme fiscali in generale - ha detto -, è opportuno dialogare con le imprese grandi e piccole”.

Albanese ha colto l’occasione della Withlam Oration per posizionarsi in vista delle suppletive di fine luglio e delle conseguenze che un risultato negativo in uno dei seggi in palio potrebbe avere per la leadership di Shorten. Una sconfitta laburista a Braddon (Tasmania) o Longman (Queensland) non può essere contemplata, ha fatto capire il rappresentante del seggio di Grayder (NSW), alzando ulteriormente l’asticella della credibilità e autorità di Shorten.

Parole che hanno fatto suonare campanelli d’allarme in casa laburista: finora uno dei punti di forza dell’opposizione, infatti, è stata la disciplina dimostrata della squadra, ma già venerdì pomeriggio, quando il testo del discorso di Albanese è arrivato in anteprima sul tavolo di Shorten, i collaboratori dell’aspirante primo ministro hanno capito che la festa è finita, che Braddon, Longman e Mayo (nel South Australia) valgono molto di più che un rappresentante in più o in meno in Parlamento. Che il Congresso forzatamente posticipato dalla data delle suppletive, non sarà di certo una ‘passeggiata’ per il leader laburista e che, d’ora in poi, ogni dichiarazione, ogni intervista, ogni evento pubblico a cui parteciperanno Shorten e Albanese saranno seguiti ed analizzati in ogni dettaglio, con scontate speculazioni sulla leadership, blindata solo fino ad un certo punto da Kevin Rudd dopo il suo breve ritorno alla Lodge nel 2013.

 La Coalizione ringrazia e gongola per quel sì al pacchetto fiscale che Shorten ha promesso di smantellare in caso di vittoria elettorale nel 2019, almeno per ciò che riguarda la fase due e tre del progetto che riguarda i salari al di sopra dei 95 mila dollari l’anno. Niente sconti, ma rincari secondo il disegno laburista, con particolare attenzione ‘negativa’ per coloro che guadagnano più di 180 mila dollari l’anno con la reintroduzione della sovrattassa del due per cento, che Abbott aveva imposto a tempo determinato per far fronte a quella che era stata etichettata ‘l’emergenza deficit’.

Le marce indietro però sono sempre complicate, specie quando ci sono di mezzo specifici interessi politici e, dato che sei dei dieci senatori del gruppo misto dovranno ripresentarsi al giudizio degli elettori, difficilmente i laburisti otterranno il loro appoggio per togliere qualcosa che hanno già approvato.

Ma questo riguarda il futuro. L’oggi sorride a Cormann che è riuscito nell’impresa di ottenere il via libera su un provvedimento ‘clou’ del budget che non era sicuramente scontato e che si è rimesso istantaneamente al lavoro per regalare al governo un complicato bis sugli sgravi fiscali per le imprese. Un coefficiente di difficoltà alzato sicuramente dai comportamenti e decisioni dei vertici delle banche e delle aziende che operano nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni.

Missione tutta in salita dunque per il ministro delle Finanze, ma male che vada gli ‘applausi’ ottenuti per il successo della scorsa settimana non si spegneranno tanto facilmente e incideranno sulla prova elettorale di fine luglio. Nessuno spacchettamento del piano settennale di Morrison, nessun compromesso per ottenere l’approvazione di nove su dieci indipendenti o rappresentanti di micropartiti, come Brian Burston che ha abbandonato la Hanson per rilanciare una nuova versione del partito di Clive Palmer. Una scelta difficile da capire seguendo la logica, ma l’ennesima dimostrazione che in Queensland tutto è possibile e, soprattutto, imprevedibile. Quindi occhio al ‘no’ annunciato dalla Hanson in un’intervista al domenicale ‘Sunday Age’. One Nation perde pezzi, ma non il suo desiderio di rimanere in qualche modo vivo e rilevante: niente tagli alle imprese, ma le suppletive incombono e ci sono preferenze da spartire. E magari addirittura la possibilità di gettare le basi per qualche accordo per le federali del prossimo anno, anche in relazione alla ridiscesa in campo di Palmer che sembra intenzionato a concentrare i suoi futuri investimenti politici nel Senato e solo in cinque o sei seggi, possibilmente in Queensland, dove probabilmente si vinceranno e perderanno le prossime elezioni.