Budget senz’altro cruciale (se non è credibile, le striminzite probabilità di successo della Coalizione spariranno definitivamente), ma il governo ha già dato le prime indicazioni su quello su cui veramente punta nei poco più di tre mesi a disposizione: la paura.
Niente di nuovo, intendiamoci. L’hanno usata, senza alcun ritegno, i laburisti nel 2016 con la campagna completamente fuorviante, ma comunque efficace, dei cambiamenti che il governo Turnbull avrebbe apportato al Medicare. Falsi ‘avvisi’ che ci hanno accompagnato, via sms, letteralmente fino alle urne.
Ma la ‘moda’ è partita da molto più lontano, da quando, nel 1980, il primo ministro liberale Malcolm Fraser, in ritardo in stile Morrison nei sondaggi, si è fatto convincere di sfruttare la possibilità, accennata da un deputato laburista in un’intervista ma mai presa seriamente in considerazione dal partito, dell’introduzione di una tassa sugli utili di capitale della casa di proprietà.
L’occasione che non ti aspetti, lo spiraglio non molto onesto che gli strateghi liberali non si sono lasciati sfuggire, nonostante qualche perplessità sulla ‘correttezza politica’ sollevata da alcuni deputati: a mali estremi estremi rimedi, avevano risposto dall’alto e la vittoria impossibile si è tramutata in realtà, con uno spostamento di voti a favore del governo nelle ultimissime giornate prima del voto. Fraser riconfermato e rossore rapidamente scomparso dalle facce di tutti.
Paul Keating ha vinto la campagna del ’93 grazie ai dubbi che ha saputo creare attorno all’imposta sul valore aggiunto (GST) che i liberali volevano introdurre, sfruttando al meglio la famosa intervista sugli ingredienti, tassati o meno (data la proposta esenzione dei generi alimentari), di un’ipotetica torta, dell’allora aspirante primo ministro John Hewson. Un divertente (per chi non faceva il tifo per la Coalizione) disastro che Keating ha ‘sfruttato’ con grande maestria per regalare la vittoria a se stesso e ai ‘true believers’.
La campagna, corroborata da falsi video di ‘bambini gettati in mare’– per forzare la guardia costiera a intervenire - contro gli aspiranti profughi per scongiurare il ‘pericolo terrorismo’ dopo gli attacchi dell’11 settembre, ha salvato il governo Howard nel 2000 e il tema è poi diventato un rituale di ogni tornata elettorale. La gara per dimostrare chi è più determinato, per quanto riguarda le politiche anti-rifugiati, ha portato, nel 2013, al ‘mai in Australia’ lanciato da Kevin Rudd per cercare di salvare i laburisti da una disfatta di straordinarie proporzioni. Tony Abbott ha detto con piacere: “Anche noi”.
Il braccio di ferro sulla fermezza ora continua, anche se ieri, finalmente, la ragione sembra avere avuto la meglio sugli slogan che girano attorno al ‘nessun compromesso’ e Morrison, fiancheggiato dal ministro dell’Immigrazione David Coleman, ha orgogliosamente annunciato che, a breve, non ci saranno più minori nel centro di detenzione di Nauru. Gli ultimi quattro rimasti stanno solo aspettando la finalizzazione del loro trasferimeno negli Stati Uniti, dato che rientrano nell’accordo che era stato stipulato dall’ex capo di governo Malcolm Turnbull con la Casa Bianca.
In agosto dello scorso anno, ha detto Coleman, c’erano 109 minori a Nauru, ora siamo arrivati praticamente a quota zero. “Senza tanto clamore – ha affermato il ministro - senza annunci a raffica, senza soprattutto compromettere la ‘sicurezza dei confini’, lavorando in silenzio e con serietà, i risultati arrivano puntuali. Non ci sono più bambini in detenzione in nessun centro di prima accoglienza, abbiamo chiuso tutti quelli che i laburisti avevano aperto, compreso quello di Christmas Island e l’abbiamo potuto fare perché abbiamo eliminato gli arrivi di barche” di disperati, che avevano caratterizzato gli anni dei governi Rudd e Gillard.
La paura è l’arma adottata dalla Coalizione anche per ‘spaventare’ i pensionati che usufruiscono del ‘bonus tasse’ (non pagate in questo caso) sui dividendi dei fondi pensione (la ‘franking credits policy’) con importi tra gli 800mila e il milione e 600mila dollari. Non ‘poverissimi’ di certo ma, di questi tempi, nemmeno super-ricchi. La paura, in questo caso, ci sta tutta per i diretti interessati, dato che Bill Shorten ha lasciato intendere, senza rispondere con un molto più facile sì o no che di fatto lascia la porta aperta a possibili ripensamenti pre-elettorali, che non intende cambiare la sua proposta di togliere il beneficio a poco meno di un milione di persone che si autofinanziano la pensione.
Paura tutta da decifrare invece sulle conseguenze delle modifiche, annunciate già nella campagna del 2016, da apportare al ‘negative gearing’ (possibilità di sconti fiscali su parte dell’investimento immobiliare) e ai profitti sugli utili di capitale su proprietà d’investimento. Il settore immobiliare, che sta già vivendo un periodo di aggiustamento dei prezzi verso il basso, secondo la Coalizione, potrebbe subire un ulteriore contraccolpo negativo con i nuovi provvedimenti. Shorten ha parlato invece, nel corso dell’intervista concessa ieri al programma Insiders (Abc), di conseguenze minime e non certe sul fronte dei prezzi, ma di maggiore giustizia ‘sociale e morale’ nei confronti di chi si affaccia per la prima volta sul mercato immobiliare e non deve competere con chi di case magari ne ha già una mezza dozzina e riceve considerevoli privilegi fiscali per questo. Da qui a maggio arriveranno calcoli, tabelle, pareri degli esperti e un bombardamento mediatico al negativo da parte del governo che quest’oggi risponderà, come del resto l’opposizione, alla presentazione ufficiale dei risultati della Commissione reale d’inchiesta sulla banche e le istituzioni finanziarie. L’indagine, proposta dai laburisti - che il governo ha cercato di evitare in tutti i modi fino a dover cedere all’inevitabilità e alla necessità date le rivelazioni costanti di comportamento spesso ben oltre i confini della moralità - ha messo a nudo abusi, pratiche disoneste, spese illegittime, oneri impropri. Un mondo da condannare e una mentalità da cambiare. Morrison ha però già messo le mani avanti, promettendo una risposta equilibrata, perché “la peggior cosa da fare sarebbe creare più problemi del necessario a un settore essenziale per l’economia del Paese”. Shorten ha subito sparato a zero accusando, in preventivo, il governo e il primo ministro di non smentirsi mai: “Prima non volevano l’inchiesta, ora si rifiutano di accettare interamente il verdetto, perché i liberali stanno sempre dalla parte di chi ha, piuttosto che difendere i diritti della gente comune”.
E questo è solo l’inizio.