Viviamo in un’epoca storica in cui si fa sempre più attenzione a quello che si mangia, talvolta ritornando un po’ indietro a tempi non troppo sospetti in cui, per esempio, ci si faceva il pane fresco a casa tutti i giorni. Generalmente oggi si tende a prediligere prodotti alimentari che indichino una genuina tracciabilità, meglio ancora se sono frutto di agricoltura biologica, o bollinati come organici.

Lo stesso discorso vale per i vini, con l’ondata, che poi ondata non è lo più neanche tanto, dei vini naturali, una gamma che è riuscita a guadagnarsi il suo posto sotto i riflettori, e un crescente numero di seguaci. L’Italia e l’Australia non sono da meno, come ci spiega Rachel Signer, autrice, wine-tour organizer e produttrice di vini con base nelle Adelaide Hills.

Signer è originaria degli Stati Uniti, ma le sue radici arrivano fino alle belle regioni della Campania e Sicilia, dalle quali i bisnonni sono salpati in cerca di una vita migliore negli USA.

“Mi piace molto scrivere libri sui vini naturali, che, per dirla breve, sono quelli prodotti da uve biologiche senza aggiunta di additivi, spesso in uno stile più leggero. Ho anche pubblicato una rivista cartacea sul vino naturale, Pipette, e poi produco vino naturale sotto l’etichetta Cleopatra Wines. Negli ultimi anni, anche grazie al vino, mi sono connessa più profondamente con le mie radici italiane”.

Signer non manca mai l’occasione di tornare nel Belpaese, con i suoi wine tour aperti a tutti, e ritornando sempre volentieri al Ristorante da Gregorio, a Orvieto, per dei lunghi pranzi a base di specialità locali, abbinati a vini rigorosamente del territorio, e naturali.

Nonostante i vini naturali siano molto amati in Australia e in Italia, Signer ha però notato delle sostanziali differenze nei due Paesi: se in Italia questo fenomeno ha ormai solide radici, con le nuove generazioni occupate a reiventare stili antichi e a renderli più coinvolgenti per tutti, in Australia i produttori di vino naturale sono meno comuni, anche a fronte di un movimento abbastanza recente, ma pur sempre interessante, dove “le nuove etichette comunque riescono ad esprimere la propria individualità”. 

“La differenza più abissale tra i due Paesi, è che in Italia è molto più accessibile acquistare un terreno con un vigneto; quindi, i giovani produttori riescono a farlo mentre costruiscono il loro marchio. In Australia, il costo di un vigneto è proibitivo; perciò, i nuovi produttori non hanno altra scelta che lavorare con altri coltivatori, e anche se questo non è un problema, è una pratica che può essere meno soddisfacente e più instabile”.

Guardando ai vini naturali italiani, Signer sembra avere le idee chiare: l’Alto Lazio, dove l’Umbria, la Toscana e il Lazio si incontrano, hanno un fascino particolare, e semplicemente irresistibile, frutto dell’unione di “un’incredibile diversità di varietà di uve, tradizioni e suoli. L’Alto Lazio, intorno al Lago di Bolsena, è semplicemente una zona straordinaria per il vino, con una dozzina di produttori che fanno vini biologici interessanti. Tra quelli che ammiro ci sono La Villana, Andrea Occhipinti, La Gazzetta e Corvagialla”.

Ci sono poi i vini siciliani, sia quelli prodotti sulle pendici del vulcano, sia quelli provenienti delle zone di Trapani e Vittoria. Tanti i nomi degni di menzione, con Vino di Anna, Gustinella, Nino Barraco e Kalma Wines tra i preferiti di Signer.

Il Lazio, però, rimane il posto del cuore: “Sogno sempre di restarci per un po’, e spero di poterlo fare con la mia famiglia molto presto. Ho anche fatto domanda per la cittadinanza per discendenza, anche se è diventato tutto più complicato. Tuttavia, il concetto di cittadinanza per discendenza è profondamente radicato nel sistema legale italiano, e la situazione attuale si sta evolvendo rapidamente; quindi, rimango ottimista”.

Signer confessa che, oltre al desiderio di vivere in Italia, c’è quello che la figlia possa crescere bilingue. “Amo l’Italia, non solo per il vino e il cibo: apprezzo davvero la sua storia, la letteratura, la musica e i suoi splendidi paesaggi, in particolare quelli del Sud”. 

Quando chiedo a Signer un’opinione sullo stato di cose dell’industria del vino in Australia, ormai in preda a squilibri tra domanda e offerta, sfide economiche e cambiamenti nelle preferenze dei consumatori (una storia, questa, che merita una pagina a parte), mi offre una risposta che sa di ottimismo e di quel modo di reinventarsi, tipico degli italiani. “Penso che valga davvero la pena per i produttori di vino, in Australia come in Italia, di diversificare ciò che fanno. Fare vino, in questa economia, è molto difficile. Se puoi avere un agriturismo, una cantina aperta al pubblico, un bar o un orto con le tue erbe e verdure, fallo. 

Perché aggiungi complessità alla tua produzione di vino in un modo che può essere utile, ed ampli anche il tuo network”. 

Sarà, quindi, un futuro roseo per i vini naturali? “In generale, la qualità dei vini naturali in Italia e in Australia è molto alta in questo momento; quindi, si tratta solo di creare nuove opportunità e crescere”.