A febbraio l’Australia è la patria del tennis, con il primo torneo Grand Slam della stagione. Fortemente voluti anche in tempi di Covid dal premier Daniel Andrews, per esigenze dell’economia locale ma anche per coprire gli ingenti investimenti fatti negli ultimi anni, gli Australian Open 2021 sono tuttavia già in subbuglio da quando è risultato positivo al virus un lavoratore del Grand Hyatt Hotel, uno dei tre principali alberghi utilizzati dai giocatori per la quarantena; senza contare le innumerevoli controversie legate all’arrivo di un migliaio di persone dall’estero quando sono ancora moltissimi i cittadini australiani che non riescono a rimpatriare.

Un torneo che terrà tutti col fiato sospeso, quindi, sia dentro che fuori dai campi verde-blu di Melbourne Park. Dopo due settimane di quarantena obbligatoria il peggio sembrerebbe comunque passato per i giocatori, già reduci da lunghi mesi di inattività, come ci racconta Jasmine Paoline, una delle cinque tenniste italiane in gara, assieme a Martina Trevisan, Camila Giorgi, Elisabetta Cocciaretto e Sara Errani.

“Penso che Tennis Australia abbia fatto un lavoro enorme per garantire lo svolgimento dei tornei e permetterci di  allenarci cinque ore al giorno. Sono stata fortunata a non trovarmi  nel volo con i casi Covid, quindi mi sono potuta allenare tutti i giorni. Mi svegliavo la mattina, facevo colazione e andavo al circolo, e dopo quattro ore di allenamento ero comunque stanca. Sono stati duri i primi quattro giorni perché ci sono stati problemi con la logistica dei trasporti e siamo stati sempre in camera, senza mai uscire”, spiega l’azzurra 25enne nata e cresciuta a Bagni di Lucca (LU), dove ha mosso i primi passi sui campi da tennis, stimolata dalla passione dello zio e anche del padre.

Nel ricordare un 2020 sospeso, la tennista toscana bilancia le innegabili frustrazioni con la gioia di poter comunque fare del tennis il proprio lavoro, soprattutto da quando l’anno scorso è entrata nella top 100 del ranking WTA. “Le prime settimane di lockdown sono state difficili da accettare perché volevo giocare i tornei. Poi è diventata purtroppo la normalità. Da marzo fino a inizio agosto ho potuto partecipare solo ai  campionati italiani. Anche tornare a competere è stato strano perché il pubblico non c’è, o è comunque dimezzato, e ci sono un sacco di test Covid da fare prima dei tornei. Non è stato facile adattarsi ma sono grata al mondo del tennis WTA e ATP che cercano di garantire un minimo di tornei e ci danno la possibilità di competere in situazioni come questa”.

A raddoppiare la presenza toscana agli Australian Open è la fiorentina Martina Trevisan, proveniente da una famiglia di sportivi. Ha impugnato per la prima volta una racchetta a quattro anni, spronata dalla madre, tutt’ora maestra di tennis, dal fratello maggiore Matteo, ex numero uno del mondo juniores e dal padre Claudio, ex calciatore. La ventisettenne azzurra non ha troppo sofferto il primo lockdown di marzo: “Venivo da tre mesi in cui ero stata pochissimo a casa. L’ho presa come riposo da un periodo intenso e positivo. Poi quando ho visto che la situazione è andata a peggiorare ho capito che noi giocatori non potevamo fare altro che accettare la situazione, per farci trovare pronti al dopo”, spiega Martina con serenità.

Dopo le difficoltà dei primi quattro giorni in cui anche Martina è stata chiusa in camera d’albergo, la tennista è pronta ad affrontare le sfide che la attendono: “Mi piace moltissimo il modo in cui è organizzato il torneo. Qui l’anno scorso mi sono qualificata per il mio primo main draw di uno slam, quindi gli Australian Open per me rappresentano soprattutto un punto d’inizio per la mia carriera”.