ROMA - Davanti alle aule di Camera e Senato semi vuote per motivi di sicurezza e con i ministri seduti ai loro banchi in numero ridotto e distanziati a scacchiera, mercoledì e giovedì Giuseppe Conte ha parlato per la prima volta in Parlamento da quando è scoppiata la devastante epidemia di coronavirus in Italia. Ma mentre rivolgendosi a Montecitorio era come se stesse parlando all’intera nazione, quando è arrivato il giorno successivo a Palazzo Madama sapeva che la questione avrebbe preso connotati politici più marcati.

È lì infatti che siedono coloro che si sono dimostrati essere i suoi nemici più giurati, da una parte dell’emiciclo Matteo Salvini e dall’altra Matteo Renzi, uniti entrambi nell’intento di volersi sbarazzare di Conte il prima possibile, puntando ad un governissimo con tutti dentro, rilanciato più volte tanto dal leader della Lega, che da quello di Italia Viva. La sponda ad entrambi è offerta dal ritorno in auge dell’ex direttore della Banca centrale europea Mario Draghi, più volte citato anche in passato come possibile guida di un governissimo di unità nazionale con tutti dentro. Un’ipotesi che fa gola a molti nei meandri dei palazzi romani, ma alla quale si oppone con decisione il Movimento 5 Stelle e non piace molto nemmeno alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.

Nonostante ciò, i due Matteo su questo stanno puntando da tempo ed entrambi nei propri interventi evocano le parole che l’ex numero uno di Francoforte ha espresso sul Financial Times. “Draghi le ha indicato la strada”, ha detto Renzi rivolto al premier, che aveva appena terminato il suo discorso annunciando altri 25 miliardi di nuovi aiuti all’economia e all’occupazione, inseriti in un nuovo decreto da definire ai primi di aprile. Per il leader di Italia Viva però lo stanziamento non è sufficiente e sarebbe anche opportuno istituire “una commissione d’inchiesta per far luce sugli errori commessi dall’attuale governo nella gestione dell’emergenza”. Governo –  è bene ricordarlo – di cui lo stesso Renzi fa parte, anche se dal suo intervento sembrava piuttosto essere all’opposizione. Le parole da lui pronunciate, infatti, non sono molto distanti da quelle espresse poco dopo da Matteo Salvini, il quale, seppur non arrivando a chiedere una commissione di inchiesta e promettendo “collaborazione”, ha contestato a Conte la gestione dell’epidemia: “Presidente Conte - ha incalzato il leader della Lega -, ogni tanto ammettere qualche errore fatto non sarebbe segno di debolezza ma di forza, altrimenti non staremmo qui a commentare 7.503 italiani morti”. Anche Salvini ha poi salutato con gaudio l’intervento di Draghi sul FT: “Grazie Draghi per le sue parole - ha detto -. È caduto il mito del non si può fare debito... Si può fare. Benvenuto, ci serve l’aiuto di tutti, anche del suo. Sono contento di quello che potrà nascere da questa intervista”.

A rispondergli però a tono e a scatenare la reazione scomposta dei senatori leghisti, tanto che la presidente Elisabetta Casellati si è vista costretta a minacciare la sospensione della seduta, è stato il capogruppo M5s Gianluca Perilli, che ha definito Matteo Salvini “monumento all’incoerenza” e difeso il premier Giuseppe Conte. “Lei adesso dice che bisogna chiudere tutto - ha incalzato Perilli rivolto a Salvini - ma prima diceva che bisognava riaprire tutto. Non se lo ricorda dopo Codogno?”. E facendo scudo a Conte ha aggiunto: “Vogliamo parlare di quello che ha dovuto sopportare il presente del Consiglio?  Ha tenuto unito il Paese, non ha escluso nessuno ma è stato ricoperto di indebiti insulti”.

Conte, però, non sembra volersi far trascinare sul terreno della polemica e nei suoi interventi è tornato a chiedere al Parlamento “responsabilità” e unità, promettendo maggiore confronto con le opposizioni. E infatti già venerdì i capigruppo della minoranza sono stati convocati dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà. Quanto alle accuse rivolte a lui e al suo governo, “la storia domani ci giudicherà – ha replicato – e ci dirà se siamo stati all’altezza. Verrà il tempo dei bilanci, delle valutazioni su quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, tutti avranno la possibilità di sindacare il lavoro svolto e trarne le conseguenze”. “D’altra parte - ha concluso -, in questi giorni molti hanno riletto ed evocato, anche pubblicamente, le pagine sulla peste scritte da Manzoni nei Promessi sposi: proprio in quest’opera viene ricordato un antico proverbio, ancora oggi fortemente in auge, per cui ‘del senno del poi son piene le fosse’”.