Chi nasce in un’isola impara presto che il mondo è altrove. Intorno c’è il mare, infinito. E quando ti circonda da ogni lato, il mare non è solo bellezza: è distanza. Madeira, se aprite Google Maps, è un punto minuscolo nell’Oceano Atlantico. Cristiano Ronaldo è nato lì, a Funchal. E proprio lì, su un muro vicino a casa, comincia a tirare i primi calci al pallone. A otto anni entra nell’Andorinha, dopo poco lo cercano due club: il Marítimo, il più noto dell’isola, e il Nacional. È conteso. Il Marítimo si muove tardi, non è convinto. Ronaldo va al Nacional e da lì arriva la segnalazione allo Sporting Lisbona. A 17 anni debutta con la prima squadra. Poi, nell’estate del 2003, il Manchester United, fresco campione d’Inghilterra, vola a Lisbona per inaugurare il nuovo stadio José Alvalade. Ronaldo sa di avere una chance per impressionare. E poi nasce la leggenda. Quell’aneddoto che non si sa mai se è davvero accaduto o solo perfezionato nel tempo. Si dice che alla fine del primo tempo, i giocatori dello United, Neville, Ferdinand, Keane, siano andati da Ferguson per dirgli: “Prendilo. Ora”. Per Ronaldo è arrivato il momento di salutare Lisbona e il Portogallo. Ha appena 18 anni.  

Un calcio alla caviglia. Una botta al ginocchio. Mani ovunque. Strattonato, trattenuto, abbattuto. L’impatto con la Premier è fisico. In Inghilterra i difensori non aspettano: se possono, ti fermano subito. Ogni entrata è un livido. Ogni protesta, una critica. Le etichette, di nuovo, arrivano in fretta: showman, simulatore, troppo leggero. È rapido, ma la velocità non basta. Intanto Cristiano passa ore in palestra. Aumenta massa, soprattutto sulle gambe e nella parte alta del corpo. Comincia a reggere gli urti, a restituire le botte, a saltare più in alto, a dare spallate. Cade meno, dribbla meglio. Quando lo raddoppiano, riesce a sgusciare via. Cambia alimentazione, intensifica gli allenamenti, si affida a preparatori e fisioterapisti. Nel suo primo anno nello United riesce comunque a lasciare il segno: vince una FA Cup in cui segna il primo dei 3 gol al Milwall, alza al cielo una Community Shield, arriva terzo in Premier e agli ottavi di Champions. Poco per uno come lui ma quel che basta per salvare una stagione.

Giugno 2004. Il Portogallo ospita l’Europeo per la prima volta nella sua storia. La nazionale è solida, con esperienza e qualità. In panchina c’è Luiz Felipe Scolari, campione del mondo due anni prima con il Brasile. Ronaldo viene da una stagione irregolare con il Manchester United. Ha segnato poco, ha giocato a intermittenza. Ma Scolari lo convoca e lo inserisce subito nelle rotazioni. Alla prima partita, contro la Grecia, parte dalla panchina. Entra nella ripresa, segna di testa. ma il Portogallo perde 2-1. Nei match successivi Scolari gli dà fiducia. Contro la Russia gioca titolare. Contro la Spagna resta in campo per tutta la partita e partecipa. Il Portogallo passa ai quarti e subito elimina l’Inghilterra ai rigori: Ronaldo segna il suo con freddezza. In semifinale contro i Paesi Bassi è ancora protagonista: segna di nuovo, ancora di testa, il Portogallo vince 2-1 e vola in finale. L’ultima partita è di nuovo contro la Grecia. Ronaldo gioca titolare, ma viene neutralizzato. Poco spazio, pochi palloni giocabili. Ci prova, spesso da solo, ma non incide. L’Europeo finisce così: la Grecia campione, il Portogallo secondo. 

Negli anni trascorsi al Manchester United, Cristiano Ronaldo ha giocato 292 partite ufficiali, segnando 118 gol. Ha vinto 3 Premier League, 1 Champions League, 1 FA Cup, 2 Coppe di Lega, 1 Community Shield e un Mondiale per club. Nel 2009 viene ceduto al Real Madrid. Niente più fascia laterale, ma area di rigore. Niente più sgroppate, ma finalizzazione. Gol, gol e ancora gol, segna in ogni modo, da ogni posizione. Per cinque stagioni consecutive segnerà più di 50 gol. Nessuno come lui. 

Il Portogallo arriva all’Europeo del 2016 con un buon gruppo, ma senza le aspettative di chi deve vincere. Perà arriva fino in finale, contro la Francia padrona di casa. Dopo appena 25’ Ronaldo subisce un colpo al ginocchio, è costretto a uscire. La sua finale finisce lì, ma al triplice fischio, i portoghesi sono campioni d’Europa. È il primo trofeo internazionale della loro storia.  

Ronaldo lascia il Real Madrid. dopo nove stagioni, 451 gol in 438 partite. Destinazione? La Juventus. Ronaldo a fine stagione chiuderà con 28 gol. Il secondo anno chiude la stagione con 37 gol, il suo miglior bottino italiano. Dopo tre stagioni, Ronaldo saluta Torino. Ancora la Premier, ancora i Red Devils. Ma Ronaldo non è più lo stesso. Non è quello che arrivò a Manchester nel 2003, né tantomeno quello che partì nel 2009. È tornato a casa, 12 anni dopo. I tifosi inglesi, un po’ come quelli italiani, si illudono che possa bastare lui a riportare la squadra ai vertici. Chiude la stagione con 24 reti. Ma lo United è una squadra senza capo né coda: in Champions fuori agli ottavi, in Premier sesto posto. Zero titoli. La stagione successiva il Manchester United rescinde il contratto, Ronaldo resta senza squadra. A poche settimane dal Mondiale in Qatar. Il ritorno, che sembrava un cerchio che si chiudeva, diventa un addio brusco. È tutto molto surreale. Cristiano sa che il suo tempo in Europa è finito. E guarda altrove. Il ritiro? Non è nei piani. Il fisico regge. La mente pure. Gli serve solo un posto dove essere, ancora, il centro di tutto. Pochi giorni dopo l’eliminazione del Portogallo per mano del Marocco ai Mondiali in Qatar, la firma: Al-Nassr, Arabia Saudita. Un contratto da oltre 200 milioni a stagione. E La Saudi Pro League, fino a quel momento marginale, cambia volto. Diventa un campionato ambito. Nel 2024, agli Europei, le cose vanno meglio. Ronaldo entra nella storia: è il primo calciatore a disputare sei edizioni del torneo e a segnare in cinque. No, non parlate di ritiro con Cristiano Ronaldo, dopo una Nations League, vissuta da protagonista in questo giugno 2025, con due gol segnati e la coppa sollevata, ancora una volta, da capitano e guida del Portogallo.