Se c’è una cosa che Silvia non sopporta, sono le ingiustizie. E se c’è una cosa che l’Australia le ha insegnato, è che non bisogna mai abbassare la testa quando qualcuno cerca di umiliarti.
Silvia Vanelli Tagliacane, originaria di Crema (Cremona), designer, esperta di UX/UI, podcaster, ex cameriera, ex studentessa bullizzata è, soprattutto, una che non si è mai arresa.
Silvia è arrivata in Australia con un’internship in uno studio di architettura che non la pagava, ma che le ha fatto capire una cosa fondamentale: in Italia non si sentiva nel posto giusto, come tanti dei nostri connazionali che lasciano il Bel Paese in cerca di fortuna, anche lei è arrivata a Sydney, nel 2012, ma la fortuna non l’ha cercata, se l’è piuttosto creata.
“Come molti italiani all’estero, il primo impatto con il mondo del lavoro australiano non è stato propriamente idilliaco. Ho fatto tre settimane di lavoro gratuito, poi finalmente una realtà molto più concreta: mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a lavorare in un coffee shop - racconta Silvia -. Il visto? È stato una montagna russa emotiva”.
Proprio quando stava cercando di sistemare la sua situazione in Australia, suo padre si è ammalato e lei ha messo tutto in attesa per stargli accanto.
Sei mesi dopo, con un visto da studentessa, è tornata nella capitale del New South Wales, ha iniziato a studiare al TAFE e ha ricominciato tutto da capo.
Ma quando la scuola ha chiuso i battenti, lei si è ritrovata di nuovo a servire caffè.
Nel frattempo, però, c’era qualcosa che la attirava: il mondo della tecnologia. Così ha scelto di studiare software development e networking, un settore allora in forte crescita. “Il problema è che essere una donna in un corso di networking nel 2015 era praticamente come dichiarare guerra agli stereotipi”, spiega raccontando di un periodo passato, ma che l’ha segnata nel profondo.
“Professori con mentalità da anni ‘60, compagni di corso convinti che una ragazza ben vestita non potesse sapere nulla di computer” aggiunge. Silvia, invece, sapeva eccome, e ha resistito a bullismo e ghettizzazione con una determinazione feroce. Alla fine non solo ha finito il corso e preso la residenza permanente, ma col tempo ha anche trovato un lavoro più in linea con la sua preparazione universitaria, UX/UI Designer, in un’azienda australiana.
Ma dopo anni di esperienze in questo Paese, Silvia ha capito una cosa: troppe persone che si fanno le stesse domande, affrontano gli stessi problemi, ma non hanno uno spazio sicuro dove parlarne. Così, due anni fa, è nato il suo podcast “Italiani in Australia”, che oggi conta 64 episodi e 12.000 download. “Tutto è partito da un semplice bisogno: evitare di rispondere alle stesse domande mille volte su Facebook. Con degli amici, Federico Boni, Raffaele Spiga ed Emanuele Crippa, ho trasformato la frustrazione in un progetto più grande, creando un podcast che è molto più di una chiacchierata tra amici. È diventato un punto di riferimento per chi cerca informazioni, supporto e un po’ di leggerezza su tematiche che spesso vengono messe da parte”, spiega.
Il podcast ha svelato anche un’altra faccia della realtà degli italiani in Australia: la solitudine, l’individualismo e un’ossessione per il guadagno che porta molte persone a chiudersi anziché supportarsi. Silvia sa bene cosa significa sentirsi esclusi da una comunità che, in teoria, dovrebbe aiutarti a trovare il tuo posto all’estero.
“Ti censurano, ti tagliano le ali nel momento in cui provi a dare supporto”, ottolinea.
Pagine Facebook con interessi economici rendono difficile creare uno spazio di vero aiuto. “Non sono un agente di immigrazione, non voglio esserlo. Ma so che tante persone si sentono perse, e il mio obiettivo è solo quello di essere d’aiuto.”
Le storie che finiscono nel podcast non arrivano da sole. Sono persone che decidono di scrivere in DM (Direct Message), che trovano il coraggio di condividere esperienze di relazioni tossiche, difficoltà di adattamento, discriminazione. Ogni episodio tratta una tematica diversa, e il pubblico varia a seconda di quella trattata.
“Ma una cosa è certa: il trend è in crescita. Sempre più persone vogliono ascoltare, condividere, sentirsi meno sole” dice Silvia con orgoglio.
Silvia e il suo team hanno costruito tutto da zero, senza finanziamenti esterni. Ma il progetto è vivo, forte e in continua evoluzione. “Non ci sono porte chiuse, non escludiamo nessuno. Chiunque voglia partecipare, raccontare la propria storia, far parte di questa comunità, è il benvenuto”.
Se c’è una cosa che Silvia ha dimostrato, è che in Australia puoi reinventarti cento volte. Puoi partire con un lavoro non retribuito, trovarti a servire caffè, cambiare strada, affrontare discriminazioni, essere esclusa da una comunità che dovrebbe supportarti, ma se hai la grinta giusta, alla fine trovi sempre un modo per far sentire la tua voce.
E nel caso di Silvia Vanelli Tagliacane, quella voce ora arriva nelle cuffie di migliaia di persone.