Quando la cicogna bussò alla porta di papà Herman e volò via lasciando sulla soglia quel fagottino in panno azzurro, fece un po’ di confusione.
Quel bimbo era destinato ad altra meta e, soprattutto, ad altro nome: non Dries Mertens, ma Ciro, come uno dei patroni della città scolpita nel suo destino e con cui si è legato a vita (sportiva s’intende) firmando il nuovo contratto (2 anni) che porterà i suoi anni in azzurro Napoli a 10 (con opzione per l’11esimo), da calciatore e a chissà quanti da dirigente della società di De Laurentiis, così come concordato col patron ma non ancora messo nero su bianco.
Perché per la carriera d’ufficio c’è tempo, per ora Ciro pensa al pallone, quello giocato, quello che gli ha regalato mercoledì scorso una Coppa Italia dal sapore particolare perché ottenuta contro i rivali di sempre. I bianconeri. Non una squadra qualunque, non quella di Ronaldo ma la banda Sarri, l’allenatore che più di tutti ha cambiato il suo destino. L’allenatore a cui più di tutti Mertens avrebbe voluto dire addio perché nel suo primo anno di Napoli quel toscanaccio un po’ burbero un po’ napoletano, lo lasciava spesso (quasi sempre) in panchina.
Da ala sinistra era diventato la riserva di Insigne, Dries. “È l’uomo che spacca le partite, ma nell’ultimo quarto d’ora” sentenziavano i professionisti del pallone prima che Dries diventasse Ciro e subiva l’umiliazione dell’esclusione ogni sabato a ora di pranzo nell’ufficio di Sarri.
Poi tutto è cambiato. Improvvisamente. La fortuna, la sfortuna, il caso. Il destino. Chissà…
Un nome, Ciro, una storia, quella di Mertens, nati per caso su una pista da bowling della provincia napoletana dove Dries si trovò a giocare con gli amici e dove, per non essere sommerso da richieste di selfie e autografi, scelse un nome comune per confondersi fra la folla: Ciro.
Il ragazzo mezzo belga, mezzo napoletano iniziò la sua trasformazione.
Da larva a farfalla il passo fu breve ma profondo. Come la buca in cui si affossò (nel 2016) Milik, arrivato a Napoli per sostituire Higuain passato da eroe azzurro a core ingrato bianconero nel giro di poche settimane, procurandosi il primo grave infortunio della sua carriera. Crociato, stagione finita, o quasi. Napoli in lacrime. Per un giorno o due. Poi... Ciro diventa farfalla e vola, segna. Stupisce. Macina reti e record, trascina la squadra, diventa un killer dell’area di rigore, si permette pallonetti di Maradoniana memoria.
E lo stadio, complice qualche amico napoletano di Mertens, scopre la sua identità nascosta e gli dedica anche il coro che fu di Diego: Olé olé olé Ciro Ciro... Trasformazione ultimata.
La verità su quel giocatore che improvvisamente si impose fa i migliori cannonieri del mondo, l’ammetterà lo stesso Sarri in un’intervista televisiva rispondendo alla più semplice delle domande: ma non era un’ala sinistra? “Nessuno allenatore, me incluso, aveva mai capito un c... Questo è un fenomeno”. Disastri del pallone.
I gol, il tifo, i cori, il caffè del magazziniere Starace, il dialetto, la vita sociale, il volontariato, gli amici. L
’amore fra Napoli e Ciro diventa sempre più forte, stretto, esclusivo.
Come del resto lo era già stato prima, quando Katrin, moglie di Dries, pressava per lasciare la casa di Posillipo intenzionata a seguire le sue giuste ambizioni professionali che la portavano lontano dall’Italia, lì dove avrebbe voluto che il marito la seguisse, indossando la maglia di un altro club. Fallì. Si rischiò il divorzio.
Un amore, quello fra Ciro e Napoli, sordo anche alle campane cinesi, più volte suonate a festa spargendo nell’area il profumo dei milioni che attirano i calciatori soprattutto quelli che entrano nei trenta.
“Lui ama Napoli e il Napoli e non gli importa di guadagnare di meno, basta che gli venga riconosciuto il suo lavoro”, raccontò un giorno papà Herman quando spiegò che il figlio Ciro - si pure in famiglia lo chiamano così - non avrebbe lasciato l’azzurro a meno che non lo avessero cacciato.
Un amore shakespeariano rinnovato di recente con i no a Inter, Paris Saint-Germain, Chelsea, Real Madrid anche quando De Laurentiis, come il peggiore degli Amuleto titubava fra l’essere e non l’essere (il pagare o non pagare).
Anche quando tutto sembrava perduto e la stagione finita in un naufragio fatto di licenziamenti – Ancelotti – ammutinamenti, multe, cause civili. Perché “Chi ama Napoli come me, sa che è un amore che durerà tutta la vita. Darò per te tutto me stesso, fino all’ultimo giorno, per rimanere nella storia di questa squadra e di questa città, come il miglior goleador di tutti i tempi. Io goleador, chi lo avrebbe mai detto quando ho firmato per il Napoli?! Ma non è finita qui: la nostra storia continua”.
Firmato non William Shakespeare, ma Dries Ciro Mertens, il napoletano nato belga.