MILANO - Perché Ibra è Ibra, e anche nel momento più difficile ha voluto lasciare il segno. Zlatan Ibrahimovic ha annunciato dal centro del campo di San Siro il ritiro al calcio, colpo di scena per chi pensava che la festa al termine di Milan-Verona fosse stata organizzata per il suo saluto soltanto ai colori rossoneri.
No, l’addio è a tutto, l’addio è al calcio giocato: “Non ho detto a nessuno che lasciavo il calcio - ha spiegato Ibrahimovic qualche minuto dopo in conferenza stampa -. Alla società ho detto che dovevamo fare una cosa per l’ultima partita, ma non sapevano del ritiro. Da domani sono uomo libero da questo mondo. È stata una carriera lunga, sono orgoglioso e felice”.
Ma anche commosso, come raramente lo si era visto. Gli occhi sono diventati lucidi la prima volta a pochi minuti dall’inizio della partita, quando ha visto la coreografia preparata per lui dalla curva milanista: “Godbye”, si leggeva, in cui il gioco di parole rendeva omaggio a chi si è sempre paragonato niente meno che a Dio.
“Quando mi sono svegliato pioveva - ha raccontato sornione lo svedese -, ho detto ‘Pure Dio è triste’. La mia famiglia non lo sapeva. Un’emozione troppo forte, oggi sembravo uno zombie: non parlavo, non scherzavo. Tre mesi fa ero nel panico sul ritiro, invece oggi lo accetto e sono pronto. Ho detto basta negli ultimi 10 giorni: l’ho accettato, anche per il non poter finire in campo. Quello che ho passato oggi comunque è stato troppo bello, un ricordo per tutta la vita”.
Il legame con il Milan è e sarà sempre speciale, perché due vite in rossonero sono tante: la prima, quando Galliani per convincerlo a firmare si piazzò nel suo salotto di casa e gli disse che non se ne sarebbe andato senza un accordo. Vinse lo scudetto, prima di essere ceduto per la ragion di stato (e di cassa) al Psg. La seconda, quella iniziata dopo aver visto il Milan uscire demolito contro l’Atalanta il 22 dicembre 2019 (5-0). Da Los Angeles chiamò Raiola: aveva appena trovato la sua prossima sfida, quella che cercava disperatamente per non smettere di giocare.
E in rossonero ha fatto ancora la differenza, con i gol ma non solo.
In tanti hanno spesso ripetuto che bastava la sua sola presenza in allenamento per alzare il livello di tutti, lui che con uno sguardo si è sempre fatto capire piuttosto bene.
E lo scudetto conquistato a Reggio Emilia la passata stagione ha dentro tanto di Ibra: “Il Milan la prima volta mi ha dato felicità, la seconda volta amore - le sue parole -. Mi hanno fatto sentire a casa dal primo giorno. Quando sono arrivato ho fatto una promessa: si diceva che chi arriva in un club per la seconda volta fallisce sicuro, ma io ho risposto che non avevo perso la passione. E abbiamo vinto. Qui ho la mia seconda famiglia. Da due figli a casa ne sono arrivati altri 25, una grande responsabilità, il mister me l’ha data e io ho fatto il mio”.
Dalla metà dell’anno scorso, però, ha anche dovuto fare i conti con un ginocchio malandato, che lo ha costretto a farsi estrarre con la siringa il liquido una volta alla settimana, un supplizio che non è bastato a fargli dire basta. Si è fatto operare a fine campionato, perché voleva tornare. Lo ha fatto, poco, ma abbastanza per mettere a segno contro l’Udinese il gol che lo ha reso il marcatore più anziano (ma a lui non ditelo) della Serie A.
E adesso? Ibra ha detto di non aver mai pensato di andare al Monza, e il suo futuro è una pagina bianca ancora tutta da scrivere: “Per il momento voglio solo prendere tempo e godere di quello che ho fatto. Penso non sia giusto prendere una decisione di fretta, c’è troppa emozione. Voglio prendermi l’estate, godere, riflettere su quello che ho fatto. Poi, con calma, vediamo. Essere allenatore o direttore è una grande responsabilità”.
Con una sola certezza: “Di Zlatan ce n’è uno”.
Sipario, lacrime...e la promessa non detta di un arrivederci.