Fare previsioni è sempre un rischio, ma come si fa ad evitarlo? Il tenore di vita degli australiani negli ultimi sei anni ha fatto passi indietro: tra Covid, inflazione, prezzi dell’energia e tassi d’interesse il freno a qualsiasi inversione di tendenza è rimasto continuamente tirato.
Ecco perché, dopo un primo segnale positivo di qualche mese fa, questa settimana potrebbe arrivare una seconda spinta in avanti da parte della Banca centrale.
Il costo del denaro dovrebbe scendere di un altro quarto di punto, perché, secondo alcuni esperti economici, su questo fronte siamo già in ritardo e se non si agisce in positivo si rischia di commettere lo stesso errore che è stato commesso quando si è resistito oltre al tempo necessario quando i tassi bisognava alzarli.
Ovviamente a complicare ogni azione e ogni previsione c’è ora sulla scena mondiale l’iperattività fiscale di Donald Trump.
Tra dazi imposti, sospesi o abbassati anche se solo sui rialzi annunciati, il presidente Usa non offre molte certezze né per ciò che riguarda la lotta all’inflazione né sui ritmi di crescita e i livelli occupazionali.
Ma con un arretramento sugli standard di vita senza precedenti per il Paese, un tasso d’inflazione che dovrebbe essersi ristabilizzato entro i parametri fissati dalla Reserve Bank tra il due e il tre per cento, e un mercato del lavoro che non dà segni di generare eccessive spinte salariali, la governatrice della RBA, Michele Bullock e i suoi ‘consiglieri’ dovrebbero essere in linea con le previsioni di almeno tre correzioni monetarie verso il basso nei prossimi dodici mesi, una quarta – secondo il capo economista della Commonwealth Bank, Gareth Aird – non è da escludere.
Oggi e domani, quindi, cruciale riunione bimestrale della Banca centrale e, Trump permettendo, tassi giù per cercare di rialzare umori e consumi.
Altra possibile schiarita in vista, almeno secondo l’ottimistica visione del primo ministro Anthony Albanese, sulle relazioni commerciali con l’Unione europea.
Il capo di governo, a Roma per la cerimonia d’insediamento di Papa Leone XIV, oggi incontrerà la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per cercare di riprendere il dialogo su un accordo dil libero scambio interrotto bruscamente due anni fa, che ora, però, potrebbe essere rilanciato grazie all’effetto Trump e alla necessità del resto del mondo di fare in qualche modo squadra.
Albanese ha ammesso che l’incontro sarà solo un punto di ripartenza, ma di essere estremamente fiducioso che si possa arrivare a qualche tipo di accordo già entro la fine di quest’anno. Sul tavolo delle enormi ‘possibilità’ tre aree di grande interesse reciproco: agricoltura, terre rare e industria automobilistica.
Ancora previsioni dunque: sempre incredibilmente difficili in economia, ma soprattutto in politica, tanto che anche gli esperti più esperti spesso non ci azzeccano.
Basti pensare al clamoroso successo del governo Albanese di solo due settimane fa. Nessuno, ma proprio nessuno aveva previsto una vittoria laburista di tali proporzioni. Il mandato bis sì, specie dopo la peggiore campagna che si ricordi da parte di un’opposizione che aveva rinunciato a qualsiasi tipo di competitività, praticamente appena imboccata la volata elettorale, con una serie incredibile di gaffe e riposizionamenti.
Ma nessuno avrebbe scommesso su una vittoria da 90 e più seggi di Albanese. Vittoria risicata o, ancora più gettonata, una vittoria da negoziare con verdi e teal. Soprattutto con le indipendenti che continuano a sostenere che non sono una squadra, anche se hanno tutte lo stesso sponsor e gli stessi obiettivi-guida: clima, diritti delle donne ed evitare che vinca la Coalizione.
Così erano arrivate le previsioni di molti osservatori di primissimo piano che la squadra non squadra teal non solo avrebbe difeso con successo i seggi conquistati nel 2022, ma avrebbe aumentato i suoi voti e i ranghi. Invece non ancora confermata al cento per cento, anche se già annunciata, sconfitta a Goldstein, nessuna nuova conquista e calo abbastanza generale di consensi, con difesa al fotofinish del seggio di Kooyong.
Kate Chaney, Zoe Daniel, Monique Ryan, Sophie Scamps, Allegra Spender e Zali Steggall, secondo le previsioni, avrebbero dovuto diventare le alleate più preziose di un indebolito governo Albanese perché erano “la nuova realtà della nuova politica australiana”.
Non è andata proprio così ed invece di essere determinanti per i laburisti, sono stati i laburisti e i verdi, con i loro voti preferenziali, ad essere determinanti per il mantenimento della ‘nuova realtà’, nonostante gli investimenti milionari di Simon Holmes à Court. Alla fine il quadro del voto del 3 maggio, in percentuale, è stato: laburisti al 34,6%, Coalizione al 31,9, gli ‘altri’ (incluse le indipendenti teal) 13,1, verdi al 12,1 e One Nation al 6,4.
Ridimensionamento quindi per le teal e anche per gli indipendenti del Senato, David Pocock e Jacqui Lambie (quest’ultima addirittura non ancora sicura di rimanere nell’Aula di revisione) oltre al clamoroso tonfo dei verdi che si erano illusi di un’ulteriore passo in avanti verso il ‘sogno’ dichiarato di diventare, un giorno, i partner minori di una coalizione di governo con i laburisti.
E’ arrivata invece la perdita di tre dei quattro deputati che avevano ottenuto nel 2022, con l’uscita di scena del leader Adam Bandt, a Melbourne (rimpiazzato alla guida del partito,giovedì scorso, dalla senatrice Larissa Waters), e del quotato Max Chandler-Maher (seggio di Brisbane), ma mantenimento dei numeri nel Senato, con conferma del loro ruolo di ago della bilancia, se la Coalizione continuerà a lasciare libero il campo; altrimenti serio rischio di imboccare la strada degli Australian Democrats, ‘scomparsi’ nell’irrilevanza dopo più di due decenni d’alta quota (è stato il loro voto, non anticipato nella campagna elettorale, a permettere a John Howard di apportare la storica riforma fiscale dell’introduzione, nel 2000, della tassa sul valore aggiunto).
Nel giro di due tornate elettorali, nel 2004 e 2007, in buona parte proprio per quella decisione non preannunciata, persero tutti i loro sette senatori e nel 2016 il partito fu sciolto per mancanza di iscritti (meno dei minimi 500). E’ stato nuovamente registrato sulle liste elettorali nel 2019.
La possibilità per tutti di prendersi una pausa di riflessione, analizzando il risultato del voto del 3 maggio, senza far finta di non vedere o di non capire: verdi che devono ritornare ad essere semplicemente un po’ più verdi e meno concentrati su temi sui quali non hanno la minima influenza e liberali che devono ritrovare i propri motivi esistenziali e, soprattutto, un minimo di convinzioni e strategie, idee e programmi.
Ma anche la necessità di trovare il modo di rivitalizzare, come ha sostenuto nel suo tentativo per la leadership, Angus Taylor, di ricostruire in qualche modo la sua base elettorale.
Solo in Queensland c’è ancora un seguito di partenza soddisfacente, ma nel Victoria è notte fonda ormai da più di un decennio e nel New South Wales gli iscritti sono addirittura dimezzati negli ultimi due anni (circa 13mila nel 2023, seimila prima delle ultime elezioni).
Le previsioni, in questo caso, sono abbastanza scontate: la ricostruzione dopo il pesantissimo ko di due settimane fa sarà lunga e complicata e il divisivo 29 a 25 uscito a porte chiuse in favore di Sussan Ley non aiuterà di certo il cammino.