BERLINO - Gentrificazione, marginalizzazione sociale e precarietà abitativa sono fenomeni sempre più diffusi, spesso causati da politiche urbanistiche ed economiche che avvantaggiano alcuni gruppi a discapito di altri. Le città, da sempre centri di incontro e scambio, rischiano di trasformarsi in spazi di esclusione, con il diritto all’abitazione e alla vita comunitaria sempre più compromessi.  

Interrogarsi su questi squilibri significa riflettere su come il design possa contribuire a costruire ambienti urbani più equi e sostenibili. Ed è proprio questo il tema della IX Giornata del Design Italiano nel Mondo, promossa e organizzata dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dal ministero della Cultura – direzione generale Creatività Contemporanea, in collaborazione con ADI (Associazione per il disegno industriale), la Fondazione ADI Collezione Compasso d’Oro, la Triennale Milano, il Salone del Mobile, Federlegno Arredo e Agenzia ICE (Italian Trade & Investment Agency). 

Quest’anno, l’Italian Design Day verrà celebrato mercoledì 12 febbraio. Tra le iniziative previste in tutto il mondo, la conferenza dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino offre un'importante occasione di confronto sul tema scelto per questa edizione (Disuguaglianze. Il design per una vita migliore) con l’intervento di Valentina Lonati, esperta in design sociale e rigenerazione urbana. 

Laureata in Scienze Politiche alla Freie Universität di Berlino, Valentina Lonati ha dedicato la sua ricerca a comprendere come il design e l’architettura possano rispondere alle disuguaglianze sociali.  

Secondo Lonati, il concetto di rigenerazione urbana è stato spesso abusato, trasformandosi in uno strumento che, anziché includere, espelle le fasce più deboli della cittadinanza: “Molti progetti sono stati imposti dall'alto senza ascoltare le necessità della comunità locale, portando a fenomeni di gentrification e all'espulsione delle fasce più deboli della popolazione”. Il problema, sottolinea l'esperta, è che la rigenerazione urbana non sempre significa miglioramento del tessuto sociale, ma spesso si traduce in una riqualificazione che marginalizza ulteriormente chi già vive ai margini. 

Per contrastare questi fenomeni, si sta diffondendo un nuovo approccio noto come ‘architettura partecipativa’, un approccio che prevede il coinvolgimento attivo delle comunità locali nei processi di progettazione urbana, favorendo soluzioni che rispondano realmente alle esigenze di chi vive gli spazi.  

A parlarne è stato il sociologo Richard Sennett nel testo Costruire e abitare (Feltrinelli), dove evidenzia l’importanza del coinvolgimento delle comunità come principio essenziale per contrastare gli effetti negativi della gentrificazione e delle trasformazioni imposte dall’alto, e garantire così una vera rigenerazione urbana.  

In questa prospettiva si colloca il progetto G124 dell’architetto e senatore a vita Renzo Piano, un modello concreto di architettura partecipativa, che impiega giovani architetti under 30 per lavorare su interventi di riqualificazione nelle periferie italiane. Il progetto è finanziato dallo stesso Piano, che destina il suo stipendio da senatore a vita per sostenere gli architetti impegnati nel “rammendo” delle periferie.  

“Renzo Piano parla di ‘rammendare’ le periferie - spiega Lonati - non solo costruendo nuovi spazi, ma creando luoghi che nascano dall’ascolto delle comunità e dalle loro reali necessità. Tutto ciò si traduce in interventi puntuali e strategici che mirano a ricucire il tessuto urbano, migliorando la qualità della vita nelle aree periferiche. Questi interventi includono la creazione di spazi pubblici, l’implementazione di servizi essenziali e la promozione di attività culturali e sociali, sempre in stretta collaborazione con le comunità locali”.

Un esempio virtuoso è quello del quartiere Crocetta di Modena, dove un vecchio parco degradato (Parco XXII Aprile) è stato trasformato in uno spazio pubblico attivo, grazie alla partecipazione di associazioni e cittadini. 

Il progetto G124 del Parco XXII Aprile di Modena.

Un altro problema legato alla trasformazione urbana è la perdita di identità culturale. “Gli architetti e i designer possono agire come mediatori per creare spazi che promuovano l’integrazione e la convivenza, evitando la speculazione edilizia che porta all’aumento degli affitti e alla perdita della diversità culturale”, spiega Lonati.

In questo contesto s’inserisce anche il fenomeno della “Airbnb-izzazione”, ovvero la trasformazione del mercato immobiliare urbano dovuta alla diffusione degli affitti a breve termine. Un processo che porta all’aumento dei canoni di locazione, spingendo i residenti fuori dai centri cittadini e alterando l’identità dei quartieri. È un esempio lampante di come il mercato immobiliare stia alterando il tessuto sociale delle città, rendendo gli alloggi sempre più inaccessibili. 

Anche in Germania emergono esempi di design partecipativo che rispondono a queste sfide. A Berlino, il collettivo Raumlabor ha creato la Floating University, un laboratorio urbano sperimentale situato nell’area dell’ex aeroporto di Tempelhof. Questo spazio, nato dal recupero di un bacino idrico dismesso, ospita workshop ed eventi dedicati alla riflessione sulle nuove forme di abitare le città e sulla necessità di preservare la biodiversità urbana. “Progetti come questi dimostrano che il design e l’architettura possono essere strumenti di cambiamento sociale, capaci di promuovere una città più inclusiva ed equa”, conclude l’esperta. 

La Floating University di Berlino. (Foto: Victoria Tomaschko)

La conferenza di Valentina Lonati si terrà il 12 febbraio alle ore 19 all’Istituto Italiano di Berlino (Hildebrandstraße, 2 – 10785 Berlin), con una sessione finale di domande e risposte per il pubblico. L’intervento sarà in lingua italiana con traduzione simultanea in tedesco. La partecipazione è gratuita, ma occorrerà registrarsi via Eventbrite