C’è tempo fino alle 5pm di venerdì 6 giugno per visitare una piccola ma suggestiva mostra con ingresso gratuito, intitolata ‘Ancient Lives’. Collocata nell’ala ovest dell’incantevole Old Quad della Melbourne University – il primo edificio del complesso universitario a essere costruito a partire dal 1854 –, la piccola esibizione offre uno scorcio di vita dell’antica Roma e Grecia. Con alcune piccole eccezioni.
Co-curata da Caroline Tully e da Tamara Lewit, entrambe membri onorari presso la School of Historical and Philosophical Studies dell’Università di Melbourne, la mostra è divisa in due parti. Sulla parte destra della sala, ‘Amor et Mors: Vessels for the Beautiful Body in Life and Death’, curata da Tully, e incentrata sui recipienti usati – molti dei quali perfettamente conservati – per oli, unguenti, profumi e lozioni utilizzati dalle donne nella vita di tutti i giorni, come anche in occasioni speciali quali il matrimonio. Ci sono poi quelli che contenevano oli usati dagli uomini durante attività ludiche e sportive e, di particolare rilievo nell’antica Roma e nell’antica Grecia, quelli usati durante le onoranze funebri.
La parte sinistra invece è fortemente connotata dal culto del vino attraverso diverse epoche, da quella fenicia, greca e romana, passando per il Cristianesimo fino all’Europa dei tre secoli precedenti al nostro.
Abbiamo incontrato Lewit all’Old Quad la scorsa settimana, durante una giornata particolarmente uggiosa ma perfetta, però, per immergersi nelle colorate meraviglie del passato.
“Ogni oggetto esposto qui proviene dalla collezione privata dell’Università, usata puramente a scopo didattico. Di solito questi reperti archeologici non vengono mostrati al pubblico; si tratta quindi di un’occasione alquanto inusuale”, ci spiega Lewit.
Sicuramente un’occasione da cogliere al volo, poiché questa collezione rappresenta la punta di diamante della Melbourne University, lentamente arricchita nel corso di oltre un secolo, scrupolosamente gestita dal dipartimento Museums and Collections che oggi vanta ben 300 reperti, tra cui cinque antichi papiri egizi donati nel 1901. I reperti più antichi selezionati da Lewit sono un bricco di vino cipriota raffigurante una pecora selvatica e risalente all’ottavo oppure settimo secolo a.C., e un’anfora fenicia usata per il trasporto di vino, risalente al sesto o quarto secolo a.C.
Indubbiamente, il pezzo che cattura maggiormente l’occhio, sin dal nostro ingresso nella sala, è una grande anfora romana, risalente al primo secolo a.C.-d.C., probabilmente creata nella parte orientale della penisola italiana e rinvenuta al largo delle coste maltesi.
Lewit spiega: “Molte di queste anfore sono state analizzate e residui organici di vino sono stati rinvenuti, ancora attaccati alle pareti del contenitore, quindi sappiamo con certezza che venivano usate per il vino. Ma in questa ultima, essendo stata sul fondo del mare per 2000 anni, ovviamente non siamo riusciti a trovare nessun residuo riconducibile al vino. Poiché era una bevanda integrante nella vita delle civiltà mediterranee di quei secoli, abbiamo motivo di credere che potesse averlo contenuto”.
Gli antichi romani non erano solo grandi esperti nella fermentazione dell’uva, ma anche grandi consumatori per pura necessità, data l’alta contaminazione dell’acqua. La parte alcolica e acida del vino permetteva quindi di eliminare i patogeni contenuti nell’acqua.
“Anche i greci erano grandi consumatori e, alla fine, questa bevanda alcolica si diffuse in tutto il bacino mediterraneo. Di solito si aggiungevano dalle tre alle quattro parti di acqua, veniva spesso bevuto allungato”. Addirittura, un po’ di pane imbevuto nel vino veniva offerto ai bambini piccoli.
Contrariamente a quanto succede nell’odierna Australia e in Paesi a forte impronta anglosassone, i bambini non erano estranei alla bevanda alcolica, come si può ammirare in una brocca di vino della Grecia Attica, risalente al 420-400 a.C. e raffigurante dei piccoli fanciulli danzare alla festa in onore della divinità Dionisio.
Mi concedo un parallelo con l’Italia in cui sono cresciuta, dove un bicchiere di vino rosso allungato con l’acqua mi veniva ogni tanto offerto da mio nonno già all’età di quattro anni, dato che produceva il vino per la famiglia.
Il vino poi era parte delle onoranze funebri, veniva mescolato con erbe, miele, lumache e altre sostanze e usato come medicinale, oltre a essere offerto alle divinità. La mostra, inoltre, racconta anche del vino come parte integrante dell’Eucarestia. Lewit ci spiega che ha pubblicato alcuni testi dedicati al vino come elemento centrale delle prime fasi del Cristianesimo. Ci mostra quindi un notevole dipinto eseguito dall’artista australiano John Trinick (1890–1974), raffigurante la crocefissione di Cristo. “Nel Vangelo viene raccontato che quando Cristo era sul crocifisso, gli venne offerto del vino che di solito era bevuto dal popolo e dai legionari. Era una miscela di acqua e vino che ormai era stato alterato dai batteri dell’acido acetico e, di fatto, era aceto. Quello che gli venne dato era mischiato con bile e mirra, sostanze considerate medicinali e largamente usate nell’Impero romano per alleviare strazianti dolori fisici”.
La mostra è aperta dal lunedì al venerdì, dalle 10am alle 5pm.