MELBOURNE - Essere un australiano d’origine italiana, per Joe Montemurro, è motivo d’orgoglio. Ma appena arrivato sulla panchina delle Matildas ha capito subito che il peso della responsabilità sarebbe stato enorme. Qui non si tratta di un club, dove l’attenzione è intensa ma circoscritta. Qui c’è una nazione intera. 

Nato a Melbourne da famiglia d’origine italiana, è uno degli allenatori più rispettati del panorama calcistico femminile internazionale. Dopo aver costruito la sua carriera in Australia, si è affermato in Europa guidando l’Arsenal alla vittoria della Women’s Super League e successivamente la Juventus, con cui ha dominato in Italia e portato il club stabilmente tra le migliori dieci squadre UEFA. Tecnico riconosciuto per il suo calcio propositivo e identitario, Montemurro unisce rigore tattico e sensibilità culturale, qualità che oggi mette al servizio della nazionale australiana.

“All’inizio c’era quasi un complesso d’inferiorità - ha raccontato ai microfoni di Rete Italia -. Ti rendi conto molto in fretta che non sei solo: è tutto il Paese che si aspetta qualcosa da te. Ma la pressione è il premio per chi lavora ai massimi livelli. Devi accettarla con empatia, rispetto e onestà”.

Una pressione che, secondo Montemurro, è inevitabile per una squadra che ha ormai cambiato status. Le Matildas non sono più la favola del calcio femminile: sono una realtà consolidata, protagoniste fino in fondo all’ultimo Mondiale giocato in casa, e ora chiamate a confermarsi.

Il compito del commissario tecnico non è soltanto vincere, ma dare alla squadra un’identità riconoscibile. “Voglio un calcio entusiasmante, capace di reggere il confronto a livello mondiale. Le giocatrici devono potersi esprimere ed essere se stesse. Abbiamo talenti che giocano ai massimi livelli in tutto il mondo: devono sentirsi libere di mostrarlo”.

Una delle prime decisioni è stata quella di semplificare l’ambiente attorno alla squadra. Nel calcio moderno, ha spiegato Montemurro, le calciatrici vivono immerse in un flusso continuo di stimoli: social media, impegni commerciali, agenti e aspettative esterne. “La cosa più importante era riportare tutto al calcio. Essere chiari su come vogliamo giocare, sui principi e sul modello di gioco. Quando questo è chiaro, tutto il resto diventa secondario”.

Il lavoro iniziale si è concentrato proprio su stile, struttura e convinzione, con l’obiettivo di creare una comprensione condivisa su come le Matildas possano competere stabilmente con le migliori nazionali del mondo.

Montemurro è ben consapevole che l’impatto della squadra va oltre il risultato. Giocatrici come Sam Kerr, Steph Catley ed Ellie Carpenter sono leader culturali prima ancora che tecniche, capaci di riempire stadi e di trasformarsi in modelli per ragazze e ragazzi. “Ma deve esserci anche entusiasmo. Ogni volta che qualcuno viene a vedere le Matildas deve sembrare un evento. Ci devono essere teatro, bel calcio e un motivo per tornare.

Il successo, però, resta il metro di giudizio finale. Il cammino al Mondiale ha dimostrato che questo gruppo sa reggere la pressione e, con una Coppa d’Asia all’orizzonte, la fiducia cresce. “Le giocatrici sanno di potercela fare. Hanno dimostrato di poter arrivare in fondo ai tornei. Abbiamo introdotto idee e un linguaggio chiaro e c’è grande entusiasmo su dove possiamo arrivare”.

Nei tornei, ha sottolineato il ct, la preparazione è fondamentale quanto il talento. “Lavoriamo molto su ciò che possiamo controllare: supplementari, inferiorità numerica, gestione dei momenti. La pressione fa parte del lavoro, ma la preparazione ti dà sicurezza”.
L’esperienza internazionale permette a Montemurro di osservare da vicino l’evoluzione del calcio femminile. I campionati europei e la Champions League hanno moltiplicato le opportunità. “Il campionato americano resta molto forte, ma oggi esistono più percorsi. Per le calciatrici è un momento entusiasmante, con più competizioni e più ambienti di alto livello”.

Dati e statistiche sono ormai centrali nella prestazione, ma non raccontano tutto. All’interno del gruppo Matildas c’è un principio guida che non si misura: l’altruismo. “Fare qualcosa per una compagna senza chiedere nulla in cambio. La corsa che libera un difensore, il movimento che apre uno spazio: non sempre compare nei numeri, ma è ciò che fa vincere le partite”.

Dopo aver allenato Arsenal e Juventus, Montemurro conosce bene la differenza tra club e nazionale. “Nel club risolvi i problemi ogni giorno. In nazionale il vero lavoro non è il giorno della partita, ma quando le giocatrici sono lontane dal ritiro: devi continuare a educare, rinforzare il linguaggio e i messaggi”.

Le esperienze nei grandi club hanno plasmato la sua filosofia. A Londra ha riscoperto un’identità fatta di calcio propositivo ed espressivo. A Torino ha assorbito una cultura basata su aspettative altissime e vittoria. “La Juventus è valori, identità e dominio. Il mio compito era portare quella mentalità in Europa e renderla sostenibile”. Sotto la sua guida, il club bianconero è entrato stabilmente nella top 10 UEFA, con benefici sportivi ed economici grazie alla Champions League.

Durante l’intervista, Montemurro ha respinto con decisione l’idea di una squadra “anziana”. “Nel calcio moderno, tra i 28 e i 32 anni sei spesso nel pieno della carriera. Queste giocatrici competono ai massimi livelli in Europa. La nazionale deve sempre schierare le migliori disponibili”.

Allo stesso tempo, guarda con entusiasmo alla nuova generazione che sta emergendo. “Abbiamo un gruppo eccezionale che cresce”, ha detto citando ancora Carpenter, Amy Sayer e Winona Heatley come volti del futuro.

Tra i risultati di cui va più orgoglioso c’è la mappatura completa del movimento, dalla nazionale maggiore fino alle Under 20 e Under 17, per garantire continuità e profondità. “Quel percorso deve restare sano. Colmare il divario tra le varie categorie è la prossima grande sfida”.

Per Montemurro, il ruolo va oltre i trofei. “Vincere è fondamentale, è per questo che siamo qui. Ma voglio anche lasciare qualcosa di migliore di quello che ho trovato: creare una cultura in cui le persone vogliano far parte della squadra, capace di influenzare la prossima generazione”.

La visione finale è chiara: una nazionale che controlla il gioco, mantiene il possesso, compete con le migliori del mondo e riflette l’identità sportiva australiana. “Siamo resilienti, fisici e competitivi. Tutto questo deve essere costruito sopra principi di calcio di livello mondiale”. Se Montemurro riuscirà a realizzarlo, un Paese che si è già innamorato delle Matildas è pronto a vivere un nuovo capitolo da protagonista.