L’AQUILA - I nove martiri aquilani non “trovarono la morte” per caso: furono fucilati dai nazifascisti solo perché volevano un’Italia libera.
“L’appello sacrosanto a costruire il futuro sulla memoria condivisa della nostra storia, dunque, non può fondarsi sulla neutralità, l’equidistanza, l’ipocrisia”.
È stato questo il commento di Fulvio Angelini, dell’ANPI dell’Aquila, in riferimento al discorso di Pierluigi Biondi (Fratelli d’Italia), in occasione della commemmorazione di Anteo Alleva, Pio Bartolini, Francesco Colaiuda, Fernando Della Torre, Berardino Di Mario, Bruno D’Inzillo, Carmine Mancini, Sante Marchetti e Giorgio Scimia, i nove giovani fucilati il 23 settembre del 1943 da un plotone misto di fascisti e nazisti alle Casermette.
“Intervenendo finalmente a una cerimonia fondativa della storia democratica del capoluogo abruzzese e del Paese - ha spiegato Angelini - il sindaco ha rivolto un saluto agli studenti sul luogo dove furono trucidati i nove martiri. Le parole che ha scelto per stimolare giustamente le riflessioni degli alunni presenti hanno però un limite di fondo: appaiono senza anima, sono neutre, sembrano asettiche, e finiscono per essere non pienamente rispettose verso il sacrificio di quei nostri giovani eroi. Proprio per evitare strumentalizzazioni, è bene dire che vittime e carnefici non possono essere equiparati”.
“Non si possono mettere sullo stesso piano i ragazzi che morirono per liberare l’Italia con gli occupanti nazisti e i fascisti loro complici - ha evidenziato Angelini -. Ai giovani non si può offrire una visione opaca, ambigua, vaga o ipocrita della storia, non si può raccontare che era indifferente stare da una parte o dall’altra. Ai giovani, proprio perché se ne facciano una propria corretta idea, bisogna offrire le ragioni vere e limpide di quella che è stata la posta in gioco in quel terribile tornante storico di 76 anni fa. E quando nel ’43 fu chiaro che la posta in gioco erano la pace, la liberazione dall’occupazione nazista, la conquista di una patria libera, giusta e democratica, tutti coloro che ebbero il coraggio di schierarsi, di combattere, di rischiare e perdere la vita, loro ebbero ragione. A loro dobbiamo la nostra vita libera di oggi e a loro deve andare il nostro riconoscimento perenne”.
“La memoria condivisa, un valore su cui l’Italia è ancora indietro, non è certo revisionismo e confusione di ruoli. Al contrario essa può nascere solo conoscendo i valori e i comportamenti di chi agì da una parte e dall’altra. Troviamo un esempio di memoria condivisa in una nazione come la Germania che, facendo i conti con la propria storia e riconoscendo i crimini del nazismo, ha maturato una cultura istituzionale, politica e civile seriamente antinazista, simboleggiata a Berlino dal Memoriale della Shoah. Ciò che viene mandato a memoria non sono soltanto i crimini commessi dai tedeschi, ma anche i momenti di gioia, come ad esempio, la riunificazione del Paese”, ha concluso Angelini.