Mario Biancacci, figlio del presidente del Lazio-Marche Social Club, Antonio Biancacci, e di Anna Biancacci, non è, a prima vista, una persona estremamente estroversa e stravagante. Di fare riservato e molto garbato, quando ci siamo messi a parlare durante l’ultimo evento del Club, tutto mi sarei aspettata tranne che lavorasse nell’industria cinematografica. 

Mario nasce a Reservoir in una famiglia con radici che affondano nel cuore del Centro Italia, tra le Marche e l’Abruzzo. Fino all’età di due anni parla il dialetto delle due regioni, oltre a respirare le ricche tradizioni culinarie e l’eredità tramandata dai nonni, emigrati in Australia negli anni ‘50. Ancora oggi sostiene che il suo parlato dialettale è superiore al suo italiano, e che ogni qualvolta torni a visitare la famiglia nel Belpaese, si trovi più a suo agio conversando con le vecchie generazioni piuttosto che con i cugini. “Mi dicono sempre che sembro una persona che parla come negli anni ’50, nell’Italia moderna”.

La passione per il cinema non è immediata; piuttosto, accade in maniera organica quando, dopo la sua laurea in Scienze conseguita presso l’Università di Melbourne, decide di prendersi un anno sabbatico in Inghilterra. L’anno ben presto si trasforma in un decennio: “Volevo entrare nel mondo della comunicazione di massa, attraverso i film e la TV. Non era semplice, però. Avevo degli amici che lavoravano alla BBC World Service e venni a sapere che lì c’era un dipartimento di scienza e storia, dove assumevano laureati”.

Riesce quindi ad entrare alla BBC come runner nel dipartimento scientifico, dove lavora a due grandi documentari, James May’s 20th Century ed Earth: The Power of the Planet.

Mario confessa che l’industria televisiva si basa su una struttura molto gerarchica, ma che, nonostante ciò, è riuscito a farsi strada, approdando in seguito ad un live studio show. Diventa poi associate producer, con il compito di sviluppare cortometraggi che raccontavano storie interessanti di gente comune pescata da ogni angolo del Regno Unito.

Di ritorno in Australia, entra a far parte del rampante mondo della reality TV, lavorando per nove stagioni alla produzione del popolare show The Block. “Mi è piaciuto molto, ho incontrato un sacco di persone meravigliose, lo show è fantastico. Ma dopo nove anni ho pensato che fosse arrivato il momento di fare il salto verso i lungometraggi, perché era davvero lì che volevo portare tutto ciò che avevo imparato, e applicarlo. Nella reality TV c’è una grande preparazione logistica, ma la storia si sviluppa solo quando inizi a girare. Nel cinema è l’opposto: cominci con la sceneggiatura, poi pensi alla logistica”.

Torna anche a frequentare il VCA per ampliare la sua preparazione tecnica e, dopo un paio di serie TV a piccolo budget, c’è il fatidico salto verso il grande schermo.

Mario entra a far parte del circuito dei film internazionali realizzati in Australia lavorando come associate producer di Blacklight, film diretto nel 2020 da Mark Williams, con Liam Neeson come attore protagonista. Di quell’esperienza, Mario ricorda il periodo del lockdown e di quanto tutto il cast si sentisse fortunato a poter lavorare. Ci sono poi i ricordi legati alla ricca scenografia, trattandosi di un film d’azione costellato da inseguimenti rocamboleschi e spettacolari riprese. “Abbiamo girato scene di inseguimenti tra Porsche a Melbourne, dove abbiamo letteralmente chiuso il Multibridge. Poi siamo volati a Canberra, durante la pausa parlamentare di gennaio, e abbiamo chiuso un intero isolato per due giorni per girare una scena incredibile, usando Canberra come “doppione” di Washington”.

Arriva poi il celebre musical Better Man, con Robbie Williams, che questa volta vede Mario lavorare come co-produttore. Un’esperienza brillante e intensa al tempo stesso, con un grande lavoro fatto sugli effetti speciali. Per il film, il cast è volato anche in Serbia: “Abbiamo ricreato l’iconico concerto che Robbie Williams tenne nel 2003 a Knebworth, ricostruendo un modello in scala reale del palco originale. Gestivo tutta l’unità serba e facevo anche il casting di tutti i membri della band che dovevano assomigliare esattamente ai musicisti inglesi che Robbie aveva più di vent’anni fa, oltre a collaborare con duemila comparse. Non avevo mai fatto qualcosa di così grande.”.

Mario lavora anche come co-produttore della commedia con Zac Efron e John Cena, Ricky Stanicky, diretta da Peter Farrelly, con il quale sta nuovamente collaborando, questa volta come produttore esecutivo per il film I Play Rocky.

Quando chiedo a Mario cosa ami del cinema, non può fare a meno di citare la sua forte formazione scientifica, legata alla meccanica dell’assemblaggio, al pensiero laterale, e problem-solving. “Fare cinema è la somma di molte parti. Non c’è un’unica persona responsabile, hai bisogno di tutti i membri del cast. Ma ognuno condivide lo stesso obiettivo: raccontare la storia, e offrire la propria competenza per creare qualcosa di unico. Vedere poi la risposta del pubblico, è una sensazione meravigliosa”.

Ma non è tutto solo merito della scienza. “La tenacia e resilienza dei miei nonni mi hanno reso ciò che sono nel lavoro. Perché nel cinema ricevi tantissimi no, e devi essere in grado di rialzarti continuamente se vuoi andare avanti”.