Tra i nomi dei migranti italiani che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura australiana c’è quello del siciliano Giorgio Mangiamele, che ha dato un contributo unico alla produzione dell’emergente cinematografia locale negli anni ‘50 e ‘60. E per rendere omaggio a questa figura, la settimana scorsa l’Istituto Italiano di Cultura di Sydney, in collaborazione con Palace Cinemas e con N.F.S.A. (National Film and Sound Archive) ha organizzato un evento dedicato al regista italo-australiano, “A Day with Giorgio Mangiamele”, con la proiezione di “Ninety Nine Percent” e il più famoso ‘Clay”, che ha rappresentato l’Australia al Festival di Cannes nel 1965. Alla proiezione di questi due film al Chauvel Cinema di Paddington è seguita una discussione con tavola rotonda con, tra i relatori, Geoffrey Gardner, ex direttore del Melbourne Film Festival, nonchè fondatore e presidente di Cinema Reborn, festival annuale dedicato ai classici del cinema restaurati, che ha parlato del contesto storico e sociale all’interno del quale si collocava il regista Mangiamele. Al suo fianco Gino Moliterno, professore onorario di Film Studies presso la School of Literature, Languages and Linguistics dell’ANU di Canberra e coautore di Celluloid Immigrant: Giorgio Mangiamele Italian Australian Filmmaker, e Quentin Tournour, assistant manager presso la National Archives of Australia’s Audiovisual Preservation Section di Sydney.
Nato a Catania, in Sicilia, il 13 agosto del 1926, Mangiamele era figlio di un fabbricante di giocattoli. In Italia entrò in polizia in qualità di fotografo e in quel periodo riuscì a carpire gli elementi essenziali del cinema girando filmati di sorveglianza di manifestazioni destinati alla proiezione di fronte ai magistrati in tribunale. Quando nel 1952 emigrò in Australia continuò all’inizio la sua attività di fotografo e ben presto cominciò a fare cinema.
L’influenza della sua carriera come fotografo si riflette in tutta la sua cinematografia essendo probabilmente il primo a utilizzare le immagini per il loro contenuto poetico, collegando espressività e narratività e cercando, secondo Moliterno, di “creare qualcosa che si avvicinasse al concetto di cinema di poesia che Pier Paolo Pasolini teorizzava in quegli anni”.
Generalmente considerato il fondatore del cinema “d’arte” in Australia, anche definito da molti come uno dei registi dimenticati del cinema australiano, il contributo di Mangiamele è stato sempre poco riconosciuto tanto che trovò difficoltà a raccogliere fondi per la tipologia di film che voleva realizzare.
In “Clay” impiegò un misto di attori australiani ed europei per la storia di un uomo in fuga dalla polizia che s’innamorava della donna che lo proteggeva. Mangiamele ipotecò la sua casa e lo studio per realizzare questo film, e otto dei suoi attori e tecnici contribuirono al budget accettando il pagamento soltanto una volta che il film avesse fatto profitto.
In Australia “Clay” vinse il Silver Award, il Silver Medallion e il Kodak Silver Trophy agli AFI Awards del 1965, ma il film non riuscì a trovare un’uscita commerciale nazionale, e fu lo stesso Mangiamele che l’anno dopo affittò il St Kilda Palais di Melbourne per dare a “Clay” la sua unica proiezione. Concentrandosi su tematiche quali l’alienazione e il razzismo che accomunavano i migranti nell’Australia degli anni ‘50 e ‘60, Mangiamele puntava sulla dislocazione, la solitudine e il richiamo alla patria che costituisce l’esperienza centrale dei suoi personaggi.
Il crescente interesse odierno nei confronti del regista di origine siciliana rappresenta una rivincita culturale italiana e diventa testimonianza di quel processo di riavvicinamento e rivalutazione alla cultura del Bel Paese, alla lingua e agli stessi italiani da parte degli australiani.
Grazie all’occhio critico del cineasta, viene ora offerta al pubblico una finestra su quell’importante periodo storico che è coinciso con l’esodo italiano in Australia.