CANBERRA – Il governo federale ha confermato che non apporterà modifiche alle regole che stabiliscono i limiti dimensionali di una piccola impresa, nonostante le pressioni da parte delle associazioni imprenditoriali. La Camera di Commercio e Industria australiana aveva richiesto di modificare la definizione legale di piccola impresa, aumentandone il limite da 15 a 25 dipendenti. Tuttavia, il ministro per le Relazioni Industriali, Murray Watt, ha respinto l'idea, sostenendo che una tale modifica priverebbe un gran numero di lavoratori dei loro diritti e tutele sul luogo di lavoro

"Non c'è assolutamente alcuna prova che sia necessario rendere più facile per le piccole e medie imprese licenziare ingiustamente i lavoratori", ha dichiarato Watt durante un'intervista radiofonica. "Circa un milione di lavoratori impiegati in aziende con un numero di dipendenti tra 15 e 25 perderebbero i loro diritti contro i licenziamenti ingiusti".

D'altro canto, la vice leader dell'opposizione, Sussan Ley, ha affermato che la Coalizione prenderà in considerazione la proposta: "Spero che preparino qualcosa che potremo prendere seriamente in considerazione in Parlamento, perché è così che si attuano i cambiamenti".

Le modifiche alle leggi sul lavoro si stanno rivelando come un tema chiave in vista delle elezioni federali previste per maggio. "Siamo ben contenti di rendere le relazioni industriali un tema centrale per le prossime elezioni", ha sottolineato Watt.

Poco prima dell’intervento del ministro, la segretaria della confederazione sindacale ACTU Sally McManus aveva  criticato aspramente la proposta: "Se il gruppo lobbistico dell’associazione industriali dovesse ottenere ciò che chiede, correremmo il rischio di tornare ai giorni in cui datori di lavoro poco scrupolosi assumevano e licenziavano a loro piacimento, senza dover fornire una ragione per i licenziamenti".

Secondo McManus, tale cambiamento renderebbe anche più difficile per i lavoratori convertire un lavoro occasionale in uno permanente o recuperare salari non pagati, a causa delle esenzioni già previste per le piccole imprese nel Fair Work Act.

Un'analisi condotta dall'istituto di ricerca economica e61 Institute ha rivelato che l'uso estensivo di clausole di non concorrenza nei contratti è associato a salari più bassi e a una minore mobilità dei lavoratori tra un impiego e l'altro. Una clausola di non concorrenza impedisce ai lavoratori di competere con il loro datore di lavoro in un settore o area simile per un periodo di tempo determinato dopo la cessazione del loro lavoro. Secondo la ricerca, un lavoratore su cinque in Australia è soggetto a tali clausole.

Gli studi hanno dimostrato che i lavoratori impiegati in aziende che utilizzano frequentemente queste clausole guadagnano in media il 4% in meno rispetto a quelli in aziende simili che non le utilizzano. Tuttavia, per i lavoratori in occupazioni meno qualificate, gli effetti sono peggiori: dopo cinque anni di impiego, guadagnano in media il 10% in meno.

Ewan Rankin, responsabile della ricerca presso l'istituto, ha spiegato che queste clausole riducono il potere contrattuale dei lavoratori, limitando le loro opzioni future di impiego. "Bloccando le persone in impieghi che potrebbero non essere adatti a loro, le clausole di non concorrenza potrebbero anche danneggiare la crescita economica e l'innovazione", ha affermato Rankin.

La discussione sulla definizione di piccola impresa si inserisce in un dibattito più ampio riguardo ai diritti dei lavoratori e alla regolamentazione del mercato del lavoro. Il governo di Anthony Albanese ha già creato quasi un milione di posti di lavoro nei primi due anni del suo mandato, il numero più alto mai registrato in una singola legislatura. Tuttavia, la questione dei diritti dei lavoratori e delle tutele contro i licenziamenti ingiusti rimane un punto di scontro politico.