Sta diventando sempre più ripida la strada della riconferma un po’ per i problemi sentiti e risentiti, che continueremo sicuramente a sentire fino alle urne, del tenore di vita che continua a diminuire, di una crescita economica ai minimi termini, di una produttività scomparsa, ma anche per piccoli ma importanti errori di valutazione che stanno indebolendo la credibilità e l’autorità del primo ministro. La visita solo quattro giorni dopo l’incendio, poi etichettato come attacco terroristico, alla sinagoga di Ripponlea a Melbourne, ha lasciato perplessi sulla ‘prontezza di riflessi politici’ di Anthony Albanese: il primo ministro è finito inevitabilmente sulle prime pagine dei giornali del gruppo News Co. impegnato in una partita di tennis a Perth, proprio il giorno dell’attentato, dopo la condanna di rito al grave attacco alla comunità ebraica della capitale del Victoria e, di riflesso, a quella di tutta l’Australia.
Un paio di mesi fa, Albanese era stato costretto a ‘giustificare’ l’acquisto milionario di una lussuosa casa di vacanza sulla costa del New South Wales, poco dopo aver presentato un piano per la costruzione di alloggi popolari a Brisbane. Niente da obiettare sugli affari e le possibilità private del primo ministro che, come lui stesso ha apertamente ammesso nella ‘giustificazione’, ha la fortuna di guadagnare bene e quindi di potersi permettere un investimento immobiliare del genere, ma decisamente una sfortunata coincidenza la distanza di poche ore tra le due notizie sulla realtà di due mondi paralleli, uno privilegiato e l’altro molto meno.
Albanese ha aspettato fino a l’altro ieri per andare a vedere di persona i resti della sinagoga e incontrare la comunità colpita da un attacco che ha messo in evidenza, una volta di più, il clima di tensione, paura, estremismo ideologico che si respira nel Paese. A livello di ruolo e impatto emotivo poteva decisamente farlo prima. Una possibile complicazione in più sulla strada del voto del prossimo anno che potrebbe però diventare un po’ meno tortuosa, e al momento giusto, almeno per ciò che riguarda i tassi d’interesse. Dopo mesi di costanti ‘avvisi’ di addirittura possibili ulteriori giri di vite sul costo del denaro, sembra che la Banca centrale abbia finalmente accettato che la svolta sul fronte dell’inflazione c’è stata e che si stia preparando ad abbassare i tassi già a febbraio, nella prima riunione del direttivo nel nuovo anno. Ancora una volta, la Reserve Bank potrebbe avere aspettato un po’ più del necessario per invertire una tendenza: si era mossa tardivamente ad alzare gli interessi da quota zero, o quasi, contribuendo a far divampare l’incendio inflazionistico e ora, forse, ha tenuto schiacciato il piede sul freno monetario troppo a lungo, imponendo un rallentamento economico che sta mettendo a dura prova i cittadini, le imprese e il Paese. Già a febbraio, quindi, possibile un ritocco verso il basso degli interessi per ridare un po’ di respiro alle famiglie e allo stesso governo, costretto a spiegare una prosperità scomparsa, ma soprattutto, come è spesso successo sulla sponda laburista, a dover cercare di sfatare i puntali dubbi che, a torto o a ragione, spuntano in tempi elettorali sulle sue capacità di essere un gestore economico valido e affidabile. Pronto quindi, in questo caso, anche a riformulare almeno un po’ quell’agenda intransigente che si è autoimposto, specie per ciò che riguarda le politiche energetiche che hanno complicato l’evento inflazionistico che ha travolto un po’ tutti.
La posta in gioco è alta: i sondaggi continuano a mostrare che la Coalizione è diventata competitiva in tempi record e ci sono delle realtà che elettoralmente continueranno a pesare sull’amministrazione laburista, perché il tenore di vita sta continuando a scendere, la spesa pubblica ha raggiunto livelli record e sta mantenendo in vita artificialmente l’economia senza garantire una stabilità che possa fare da guida a una crescita sostenibile a lungo termine.
I dati resi noti la scorsa settimana sulla ‘salute’ economica della nazione hanno fatto squillare campanelli d’allarme che non potranno essere ignorati durante la campagna elettorale del prossimo anno: gli australiani stanno peggio da quando la squadra Albanese ha assunto il potere nel maggio del 2022 (in termini reali un passo indietro del potere d’acquisto dell’8,6%) e Peter Dutton farà di tutto per ricordarlo agli elettori, anche perché l’aumento del tenore di vita era la promessa centrale dei laburisti nella campagna per scalzare Scott Morrison.
I riflettori critici rimarranno puntati, oltre che sul capo di governo anche sul ministro del Tesoro, Jim Chalmers, che respinge le accuse dell’opposizione di “avere distrutto il settore privato” con la sua teoria del “capitalismo migliore” che aveva presentato nel saggio-guida dell’estate del 2023 che, aveva assicurato, avrebbe segnato una svolta per il Paese puntando su una crescita “allineata ai valori australiani”, quindi più giusta, più equilibrata, più indipendente e sicura.
La realtà è che due anni dopo la vita costa di più, il Paese è gravato da più burocrazia e troppi interventi statali e la produttività è crollata: i due attivi di gestione si sono rivelati (ma questo Chalmers non l’aveva mai nascosto) provvisori, sostenuti da circostanze esterne estremamente favorevoli, ma destinate a non durare nel tempo. Il rosso di gestione è arrivato puntuale e rimarrà in agenda per almeno un paio di mandati, a prescindere da chi sarà chiamato a dettare le regole del gioco.
Albanese e Chalmers quindi nei prossimi mesi potranno solo giocare in difesa, insistendo sulla teoria che le cose sarebbero peggiori sotto la Coalizione. Non mancheranno, comunque, altre spese e altre promesse, come quella sulla quale il primo ministro conta molto per iniziare una difficile ripresa di quota: ieri ha, infatti, annunciato i primi passi del piano a lungo termine per arrivare all’assistenza universale all’infanzia (servizio a pagina 12), con la garanzia all’accesso ai sussidi per tre giorni alla settimana per tutte le famiglie con un reddito fino a 530.000 dollari l’anno e un progetto di sviluppo, con la collaborazione degli Stati e degli enti locali, di asili e centri per l’infanzia, possibilmente vicino a già esistenti strutture scolastiche. Una riforma che prevede, tra le altre cose, di rivedere i test di attività che attualmente richiedono ai genitori di lavorare, studiare o seguire corsi di formazione professionale per poter accedere ai sussidi federali. I dettagli, con i costi completi, dell’iniziativa saranno inclusi nel documento di previsione economica e fiscale di metà anno, che sarà presentato da Chalmers la prossima settimana.
Un aggiornamento di bilancio che potrebbe diventare più rilevante del solito, proprio in virtù della scadenza elettorale della prima metà del 2025, e che potrebbe indicare, a seconda dei livelli di intervento correttivo, se effettivamente si arriverà fino a maggio prima dell’esame alle urne, lasciandosi un ulteriore spazio di manovra legato al voto, con un altro budget, come in calendario, il prossimo 25 marzo.