PALERMO - Occorre ragionare su un dato, secondo Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, boss di Caltanissetta diventato poi confidente dei carabinieri e ucciso il 10 maggio del 1996, a soli quattro giorni dalla data in cui sarebbe dovuto diventare anche collaboratore di giustizia. “Che oggi non abbiamo un pentito e collaboratore dei cosiddetti colletti bianchi. Oggi non abbiamo nessuna figura istituzionale, né prima né dopo, che abbia dimostrato l’intenzione di fare delle dichiarazioni”.

E' questo il tassello che ancora manca agli investigatori di molte Procure che stanno scavando sulla stagione stragista degli anni Novanta e, più indietro, sulle radici delle collusioni tra gli uomini dello Stato e Cosa nostra. Tra questi ci sono i giudici di Palermo che stanno portando avanti il processo di appello sulla Trattativa tra lo Stato e la mafia e dove, nei giorni scorsi, è stato ascoltato l’uomo che con le sue deposizioni sta aprendo nuovi scenari come mai accaduto in passato – Pietro Riggio.

Riggio non è solo stato un servitore dello Stato come ex guardia carceraria, ma anche un affiliato a Cosa nostra. Dopo il suo arresto nel 1998 nell’ambito dell’operazione Grande Oriente, Riggio nel 2008 diventa collaboratore di giustizia, dopo un lungo periodo trascorso come infiltrato. Ma è soprattutto  dal 2018, nell’ambito del processo Trattativa che le sue parole hanno avuto un effetto dirompente, tanto che in molti pensano che la collaborazione di Riggio, sulla zona grigia di collusione tra lo Stato e la mafia, possa costituire una svolta come fu quella di Tommaso Buscetta nello svelare al mondo la vera faccia di cosa nostra.

Riggio ha infatti detto chiaramente di essere stato testimone dei contatti tra carabinieri e mafiosi, ha parlato della presenza di esponenti dei servizi segreti italiani e libici durante la preparazione della strage di Capaci, delle richieste delle istituzioni alla mafia per compiere omicidi eccellenti di uomini dello Stato, dell’omicidio in carcere da parte della polizia penitenziaria (ufficialmente un suicidio) del pentito Nino Gioé, presente a Capaci, delle imbeccate di Marcello Dell’Utri a Totò Riina su dove piazzare le bombe del 94, quelle di Roma, Firenze e Milano, colpendo il patrimonio artistico della nazione, del mancato arresto di Bernardo Provenzano e anche dell’omicidio di Luigi Ilardo.

Su tutte queste deposizioni saranno adesso fatti i dovuti riscontri e si cercherà anche di capire perché Riggio ha deciso di parlare solo negli ultimi due anni. Una domanda che gli hanno fatto anche i magistrati di Palermo. Per le pressioni a non parlare ricevute ha detto Riggio: “Hanno fatto di tutto, anche sotto protezione, per chiudermi la bocca. Io non so se morirò o vivrò, poco importa. Spero che siano stati trovati tutti i riscontri. Sono stato minacciato velatamente da appartenenti dello Stato. Non dalla mafia. La mafia non mi ha mai cercato; in un qualche senso mi ha lasciato perdere”.