“Ogni ricorrenza è una tristezza, perché non puoi fare niente, non puoi risolvere niente. Pensi sempre che non si può perdere la vita per andare a vedere un evento, per andare a vedere una partita di calcio. Ma è giusto non dimenticare, pensando che non devono più succedere queste cose”.

Così ogni anno, da quarant’anni. Tanto è passato da quel 29 maggio del 1985, quando a Bruxelles è andata in scena la finale dell’allora Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Teatro della partita è lo stadio Heysel, “uno stadio che non era adeguato a una finale”, ricorda all’Agenzia Italpress l’ex centrocampista bianconero Massimo Bonini.

Un impianto fatiscente, misure di sicurezza inadeguate e un numero di persone decisamente maggiore rispetto a quello che lo stadio poteva contenere.

E poi la furia degli hooligans inglesi, che sfondano la rete che li divideva dal famigerato settore Z, dove si trovavano tifosi juventini ma soprattutto famiglie e tifosi neutrali, provocando il panico: un muro di contenimento cede, 39 persone perdono la vita e diverse altre centinaia rimangono ferite, anche in maniera grave.

Tutto questo, un’ora prima rispetto all’orario inizialmente previsto per il fischio d’inizio.

“Negli spogliatoi eravamo confusi. Volevamo giocare la partita, volevamo vincere a tutti i costi, dopo la finale due anni prima con l’Amburgo. Però non sapevamo cosa stesse succedendo”, spiega Bonini.

Il caos era giunto fin negli spogliatoi: “Arrivavano tifosi senza scarpe o con ferite alla testa che venivano curate dai nostri dottori, ma non si capiva cosa fosse successo - prosegue l’ex calciatore -. Neanche loro lo sapevano. Sono riusciti a scappare, però non sapevano. C’era chi diceva che c’era una strage con cento morti, chi parlava di un solo morto, chi diceva che non era successo niente. C’era solo una gran confusione. Non siamo riusciti a capirlo, lo abbiamo capito solo in albergo”.

Anche se i giocatori fossero stati messi al corrente della portata effettiva degli incidenti, secondo Bonini non c’era altra soluzione che giocare comunque: “Cosa avremmo potuto fare?

Non giocare sarebbe stata la cosa peggiore da fare, perché giocandola abbiamo dato modo alle forze dell’ordine di arrivare allo stadio e organizzarsi per portare via i tifosi del Liverpool.

Per fortuna abbiamo giocato”. Si è giocato, appunto, e la partita è stata decisa da un gol di Platini su rigore assegnato alla Juventus nonostante il fallo su Boniek fosse avvenuto un metro abbondante fuori dall’area.

“Tutte e due le squadre volevano vincere la coppa. Solo in televisione abbiamo visto che il rigore in realtà era fuori. È stata un’azione veloce in contropiede, dalla prospettiva del campo sembrava rigore”.

Dopo il fischio finale, la grande tristezza per quanto era accaduto: “Dopo averla vinta, dopo tutto quello che è successo, ti chiedi che senso aveva. Non ha senso festeggiare, non ha senso niente”, è l’amara riflessione di Bonini.

“Infatti, non abbiamo festeggiato - prosegue -. Abbiamo solo portato la coppa per farla vedere alla curva della Juventus, perché sono venuti per vedere la finale, ma non abbiamo fatto giri di campo, non abbiamo esultato: siamo rientrati negli spogliatoi e basta”.

E ora rimane il ricordo: “Tra di noi ne parliamo tutti gli anni, tutti gli anni è una ricorrenza, con i Juventus Club o con genitori che hanno perso i figli. È una grande tristezza”.

Ricordare affinché non accada più. Affinché questo avvenga, più che stadi sicuri e adeguati, sicuramente necessari, serve un cambio di mentalità: “Dobbiamo imparare a fare il tifo per la nostra squadra e non contro l’altra, andare allo stadio per divertirci, sia che vinci e sia che perdi, non per fare a botte con gli ultras dell’altra squadra. È questo che dobbiamo cambiare”.

“Capisco che dobbiamo migliorare sicuramente gli stadi, perché in Italia siamo più indietro di tutte le altre Nazioni - conclude Bonini - È giusto fare stadi adeguati, ma è giusto anche pensare e ragionare in maniera diversa, pensando che vai allo stadio per divertirti, magari anche con un amico che fa il tifo per l’altra squadra, per scherzare e prendersi in giro, che è la cosa più bella”. Perché è pur sempre solo calcio, e non si può morire per una partita.