WASHINGTON – Il primo strike dell'amministrazione Trump contro gli Houthi è andato a segno, ma rischia di riaprire un altro fronte in Medio Oriente dopo mesi di relativa calma.

Ai massicci raid americani di sabato in Yemen, che secondo la Casa Bianca hanno eliminato molte figure di primo piano del movimento filo-iraniano, le milizie sciite hanno subito risposto lanciando una pioggia di missili sulla portaerei Truman, di stanza nel Mar Rosso a protezione dei mercantili. Sullo sfondo di questa crisi c'è l'Iran: Washington è tornato a minacciare dure conseguenze per il regime se non si farà da parte, mentre i Pasdaran si sono detti pronti a "rispondere ad ogni attacco".

I bombardamenti americani dal cielo e dal mare, contro postazioni radar, difese aree, sistemi missilistici e droni degli Houthi, sono stati seguiti personalmente dal presidente Trump. Immortalato in t-shirt bianca, col cappellino rosso 'Make America Great Again' e le cuffie alle orecchie mentre guarda verso uno schermo dalla sala delle operazioni.

Il giorno dopo, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz ha riferito che i raid "hanno effettivamente preso di mira numerosi leader Houthi e li hanno eliminati". Poi, il capo del Pentagono Pete Hegseth ha avvertito che ci sarebbero state altre operazioni se gli Houthi avessero continuato "a sparare nelle nostre navi".

A questa minaccia le milizie yemenite hanno reagito con il fuoco. Un loro portavoce ha rivendicato "un'operazione militare" contro la portaerei statunitense Harry S. Truman condotta lanciando "18 missili balistici e da crociera ed un drone". È stata - ha affermato - la "risposta all'aggressione" americana che avrebbe provocando complessivamente almeno 31 morti e un centinaio di feriti, "la maggior parte donne e bambini", anche nella capitale Sanaa. In serata, il leader del movimento sciita Abdulmalik al-Huthi in un discorso televisivo ha promesso che rimetterà nel mirino anche i cargo occidentali.

L'amministrazione Trump, colpendo in Yemen, ha voluto inviare un messaggio soprattutto agli ayatollah. "Quando è troppo è troppo", ha tuonato Waltz, avvertendo Teheran che se non smetterà di supportare gli yemeniti "nessun target sarà escluso". Ed il consigliere di Trump si è spinto oltre: "Tutte le opzioni sono sul tavolo" per impedire al regime di ottenere un'arma nucleare. Messaggio recapitato anche a Mosca, alleata di Teheran e sospettata di aver fornito intelligence agli Houthi per colpire le navi occidentali: la crisi nel Mar Rosso è stata tra i temi dell'ultima telefonata tra Marco Rubio e Serghiei Lavrov.

La Repubblica islamica, commentando i raid Usa sullo Yemen, ha parlato di "un'aggressione militare che costituisce una flagrante violazione dei principi fondamentali dell'Onu e del diritto internazionale". Mentre il capo dei Pasdaran ha assicurato che l'Iran "risponderà a qualsiasi attacco militare contro il paese".

Reazioni apparentemente caute, nella tradizione iraniana di evitare finché è possibile uno scontro diretto con i nemici. Allo stesso tempo gli ayatollah hanno già dimostrato, quando sono messi alle strette, di colpi a sorpresa. I due attacchi lanciati in territorio israeliano nei mesi scorsi (seppur a scopo dimostrativo e senza gravi danni) lo dimostrano.

Alla rinnovata crisi nel Mar Rosso guardano con preoccupazione proprio gli israeliani, che hanno rimesso in stato di massima allerta le forze armate. Gli Houthi, accogliendo la tregua nella Striscia, avevano interrotto i propri attacchi contro lo Stato ebraico. Adesso però tutto può saltare.