MILANO - Della sua generazione, che vinse un Europeo nel 1968 e arrivò seconda al Mondiale del 1970 in Messico, lui è stato uno dei meno celebrati. Perché Tarcisio Burgnich faceva il terzino, ruolo ingrato, perchè parlava poco e perchè spesso si è vista sui giornali quella foto della finale mondiale dello stadio Azteca in cui Pelè lo sovrastò di testa, segnando il primo gol brasiliano della finale mondiale che finì 4-1 per il Brasile. Ma nessuno pubblica le foto di quando non fece veder palla all'asso jugoslavo Dzajic nella finale europea a Roma, o segnò il gol che aprì la strada alla Nazionale azzurra nella semifinale del 1970 con la Germania, con quel 4-3 che è rimasto nella storia del calcio.

Pochi si ricordano di lui perché ai suoi tempi c'era Gigi Riva che segnava a raffica ed è ancora il cannoniere azzurro che ha fatto più gol (35) con la maglia della Nazionale; e c'erano Mazzola e Rivera che tenevano banco sui giornali per la storia della celebre "staffetta"; c'era anche capitan Facchetti che avanzava perentoriamente sulla fascia sinistra e spesso era un attaccante aggiunto.

E soprattutto perché sono passati oltre cinquant'anni e solo quelli che hanno dai sessant'anni in su si possono aver visto giocare quell'omaccione grande e grosso, ma agile e furbo nell'impedire agli avversari di avvicinarsi all'area di rigore azzurra e dell'Inter.

In Nazionale lo fece esordire Mondino Fabbri che ai Mondiali del 1966 lo fece giocare contro il Cile (2-0), contro l'Urss (0-1) e poi lo tolse nella partita contro la fatal Corea (0-1): se ci fosse stato lui, forse l'odontotecnico Pak-Doo-Ik non avrebbe segnato, passando alla storia.

Pochi possono ricordarsi che prima di arrivare a vincere tutto nella celebre armata di Helenio Herrera (467 presenze e 6 gol), giocò dall'Udinese dove esordì in serie A nel 1959 a San Siro e i friulani ne presero sette dal Milan; poi, da giovane promessa, andò alla Juventus, dove c'erano i Boniperti, i Charles, i Sivori e in difesa giocavano Vavassori, Leoncini, Castano, Cervato.
Disputò 13 partite e conquistò tuttavia il suo primo scudetto. Il suo compagno di squadra in bianconero Angelo Caroli, poi diventato giornalista, disse: "Era un ragazzo esemplare, educatissimo e un calciatore impeccabile".

Sposò una ragazza toscana, poi fu dirottato a Palermo con il portiere Mattrel - alla prima occasione, rifilò una gol per la vittoria dei rosanero alla sua ex squadra -, si mise in evidenza e fu acquistato dall'Inter.

In nerazzurro rimase per 12 anni vincendo quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali. Nel 1974 andò al Napoli su esplicita richiesta di Vinicio, che voleva un libero esperto come lui per la difesa azzurra. Vi rimase tre stagioni, conquistando la Coppa Italia e ottenendo un secondo posto in campionato.

In Nazionale, 66 presenze e due gol. Il suo esordio nella Nazionale di Fabbri il 10 novembre 1983 contro l'Urss di Jascin a Roma (1-1). In Nazionale poi avrebbe vinto, come abbiamo detto, l'Europeo a Roma, sfiorando il titolo Mondiale in Messico.

Di Facchetti, con cui ha composto una coppia storica, ha detto: "Ho dormito più con lui che con mia moglie". Del "mago" Helenio Herrera: "Dava del lei a tutti i giocatori. Sapeva fornire gli stimoli per far bene." Di capitan Picchi: "Mi soprannominò 'roccia' dopo certi duelli vinti contro avversari insidiosi. Era il vero capo dello spogliatoio nerazzurro".

Raccontò che la sua vittoria più bella fu "quella col Real a Vienna che ci fruttò la prima Coppa dei Campioni".

Dopo i trionfi interisti e la parentesi napoletana, una breve e sfortunata carriera da allenatore. Secondo noi non ebbe fortuna per la sua schiettezza e per il suo carattere schivo. Lui parlava poco e nel mondo del calcio moderno (ma anche antico, vedi Helenio Herrera), l'allenatore deve essere anzitutto un incantatore di serpenti, cioè di giornalisti, e deve sapersi concedere con frasi a effetto e furbizia dialettica, tutte doti sconosciute da Tarcisio Burgnich, friulano dal carattere piuttosto chiuso.

Ha allenato Bologna, Como, Foggia, Lucchese, Cremonese, Genoa e Vicenza. Ma sul calcio italiano ha lasciato il segno, specie per chi non è labile di mente. Una di quelle querce che non cadono mai. Anzi, una roccia.