FRANCOFORTE - L’impatto sui mercati della decisione della Banca Centrale di dare nuovo vigore le politiche monetarie espansive è stato ovunque significativo, con le borse che sono schizzate in alto nella giornata di giovedì, trainate soprattutto dai titoli bancari. La conseguenza più forte però dell’iniziativa sostenuta da Mario Draghi è stata soprattutto il calo dei rendimenti dei titoli di Stato emessi dai Paesi europei. Ad essere andati sotto zero nella giornata di giovedì poi, non sono solo i titoli sovrani dei Paesi Ue, ma anche tutti quei bond ad alto rating emessi da governi, banche e società non finanziarie di nazioni al di fuori della moneta unica ma denominati in euro. Tra queste, sottolinea Isabella Bufacchi sul Sole 24Ore, ci sono “le banche commerciali australiane, che in questi anni hanno fatto diverse operazioni di rifinanziamento in euro emettendo titoli a tassi negativi”.
In forte discesa c’è soprattutto il Btp decennale italiano, che giovedì ha toccato un minimo storico dello 0,77%, per poi risalire allo 0,81%, con un calo del rendimento di 15 punti base. Anche lo spread tra il Btp e il Bund non fa più così paura e chiude in netto calo sotto i 140 punti base, tornando sui livelli di inizio maggio 2018. Questo significa meno interessi sul debito da pagare e di conseguenza maggiore spazio di manovra per il governo in vista della legge di Bilancio. Secondo la Banca d’Italia, l’andamento in discesa degli interessi sul debito degli ultimi mesi avrebbe infatti già fatto risparmiare, solo quest’anno, circa 800 milioni di euro allo Stato. In questo senso il quantitative easing rilanciato dalla Banca centrale europea, come accaduto già in passato, sarà un toccasana soprattutto per le casse del Tesoro, meno strangolate dalla montagna di interessi che l’Italia deve ogni anno pagare sul suo esorbitante debito pubblico. Ecco perché l’indicazione di Draghi rivolta ai Paesi in questa situazione è stata quella di essere prudenti e non sperperare questi risparmi, ma prepararsi ad utilizzarli in caso che la crisi colpisca duramente nei prossimi mesi.
E i segnali che l’onda d’urto della recessione stia per colpire non sono pochi. A parte la curva dei rendimenti Usa, che da marzo si mantiene invertita, ossia con i titoli a breve che pagano tassi più alti di quello del decennale, una situazione che negli ultimi cinquant’anni ha quasi sempre anticipato una recessione, altro dato significativo è la corsa degli investitori ai beni rifugio, ormai segnalata sui mercati da mesi. I tassi in negativo dei titoli di Stato infatti, spingono soprattutto i grandi fondi pensione e le assicurazioni a investire in metalli preziosi, tanto che anche giovedì si è registrata una nuova corsa all’oro, mai così alto rispetto al rame. Una vera e propria spia rossa.