MILANO – La Settimana della lingua italiana nel mondo ha regalato l’occasione perfetta per incontrare, anche se solo virtualmente, una giornalista che sul tema di quest’anno – L’italiano e il libro: il mondo fra le righe – ha certamente qualcosa da insegnare, perché sono migliaia le righe tra le quali Silvia Nucini ha letto in questi ultimi due anni.
La penna è stata lo strumento con cui per molto tempo ha scritto e indagato il mondo, raccontato storie di persone note e di gente comune finché ha indossato le cuffie e si è messa dietro un microfono. Giornalista, scrittrice, autrice e podcaster, più o meno in questa sequenza, la sua carriera è iniziata subito dopo il master in Giornalismo all’Università Cattolica di Milano, che l’ha portata a “fare quello che c’era da fare” nelle redazioni di diverse riviste, tra cui Elle, dove si è occupata di bellezza. Sebbene non le dispiacesse scrivere in quella sezione, sentiva di volersi mettere alla prova “raccontando la realtà, che è quello che so fare meglio”.
E i 18 anni trascorsi nella redazione di Vanity Fair Italia, settimanale di grandissimo successo, come Caporedattore Storie, hanno dimostrato la sua bravura e sensibilità nel dipingere l’anima delle persone che si è trovata a raccontare grazie a “interviste interessanti e reportage, che mi hanno fatto viaggiare moltissimo”.
Nucini ricorda come, attraverso l’ottima risposta del pubblico, a Vanity Fair avesse grande libertà nelle proposte: “Anche perché – ha sottolineato –, ho avuto direttori illuminati, che erano dell’idea che si dovesse andare di persona per raccontare”.
In quel periodo ha incontrato celebrità del mondo della moda, Dolce & Gabbana e Renzo Rosso, del mondo della musica, tra cui Blanco e Sfera Ebbasta, e del cinema, come Riccardo Scamarcio e Kasia Smutniak, insieme a molti altri. Ma sono le persone comuni che attirano particolarmente la sua attenzione, di cui racconta le gioie, ma anche le difficoltà e le sofferenze che la vita gli mette davanti.
“Lavorare a Vanity Fair mi ha consentito di affrontare tantissimi argomenti che poi sono diventati di attualità”, tra cui anche il tema della maternità, che Nucini ha approfondito nel 2010 con È la vita che sceglie, un romanzo che narra la maternità in tutte le sue forme.
Poi è arrivata la pandemia, che con il suo tempo sospeso ha spinto tutti a guardarsi dentro e “chiedermi se volevo continuare a fare il mio lavoro nello stesso modo” e, visto che la risposta non era così chiara, la giornalista ha deciso di rassegnare le dimissioni “senza avere ancora un piano preciso in mente”.
Le idee si sono a poco a poco delineate, fatte più chiare e concretizzate in Voce ai libri, un podcast la cui prima puntata è andata in onda il 20 maggio 2022.
“Non avevo mai scritto di libri, anche se ho sempre letto molto. Nella mia vita professionale ho incontrato tante persone e tra tutte le tipologie umane di gente nota, mi ha sempre fatto molto piacere intervistare gli scrittori”, spiega Nucini parlando della genesi del suo podcast.
“Ho fatto un po’ di ricerca, ho cercato quali podcast ci fossero sulla letteratura e ne ho trovati alcuni che i libri li recensivano, altri che raccontavano la vita degli scrittori, ma nessuno che li intervistasse”.
L’idea del podcast è nata dunque partendo dal presupposto che sia il libro a parlare, a raccontarsi attraverso la voce di chi l’ha scritto. “Penso che sia corretto lasciare che a descrivere i libri siano gli autori, perché trovo discordanza tra il mio percepito e le intenzioni di chi scrive, che fa parte del fascino della letteratura”.
Con una straordinaria capacità di far entrare gli ascoltatori nelle pieghe del romanzo, senza mai svelare i dettagli della storia, Nucini accompagna l’autore nel racconto dell’origine della storia e ne rivela l’essenza.
La scelta dei titoli, uno a settimana, comporta una grande sensibilità personale: “Ho bisogno che la storia mi parli, mi trasmetta delle sensazioni e che contenga un messaggio attuale”, spiega la giornalista, che elenca anche una serie di criteri oggettivi che la aiutano nella selezione.
“Essendo il podcast in italiano, devono essere libri italiani o di autori che parlino la lingua. I testi scelti sono sempre molto recenti, usciti nelle settimane immediatamente precedenti, e cerco una giusta alternanza tra scrittrici e scrittori, ma anche tra case editrici”.
Un lavoro impegnativo, a tratti estenuante, se si considera che in due anni sono state realizzate 106 puntate, che corrispondono a un libro alla settimana. “Leggo sempre, leggo costantemente - sorride la giornalista -. Adesso che vado in vacanza mi prendo una pausa dalla lettura al contrario di tutti gli altri o, quanto meno, leggerò gli autori stranieri a cui non riesco a dedicarmi durante l’anno”.
Spesso davanti al microfono arrivano autori esordienti: “Perché il primo libro che si scrive è un po’ una necessità. A me questo aspetto affascina perché, quando si scrive quella prima storia, si sceglie su cosa puntare. Le urgenze raccontano un aspetto un po’ irrazionale che emerge e che a me colpisce molto.
Ho anche imparato che scrivendo si può anche dire l’indicibile, che è bello e sano e liberatorio”. Ma insieme all’urgenza, nella definizione di buon libro rientrano, secondo Nucini, svariati aspetti, tra cui il mestiere e, “naturalmente la scrittura, che per me è ancora fondamentale”.
L’importanza della letteratura, anche in un tempo veloce come il nostro, un momento storico dove tutto succede con grande rapidità, rimane centrale: “Se leggi, vivi diecimila vite, fai delle esperienze che forse la tua vita non ti presenterà mai, ma le vivi attraverso gli altri e questi sono viaggi meravigliosi. Ai più giovani la lettura fa scoprire una dimensione con un ritmo più umano, una lentezza a cui non sono abituati”.
Il passaggio dalla scrittura al podcast è stato un’occasione di apprendimento che ha insegnato alla giornalista come usare la propria voce: “Dopo che per anni mi sono nascosta dietro la scrittura, scoprire di avere una voce, in senso letterale, per me è stata una rivelazione”.
Nelle pagine di quegli oltre cento libri letti finora, l’autrice del podcast ha anche potuto apprezzare quanto sia sfaccettata la realtà e quanto “il mondo sia meno polarizzato e meno piatto di come ci viene raccontato”.