MELBOURNE - Dei tanti ricordi conservati nei meandri della memoria dei nonni, oltre al viaggio migratorio, c’è sicuramente quell’avvenimento che è stato capace di fermare il mondo intero davanti a uno schermo in bianco e nero, o vicino a una radio. Quando l’uomo ha compiuto il primo passo sulla luna in quel lontano 20 luglio del 1969.

La nota autrice di libri per bambini, Anna Ciddor, ha voluto celebrare quel suggestivo ricordo di vita, vissuto circondata dalle sue compagne di scuola, mentre riunite nella palestra della scuola guardavano stupefatte un piccolo schermo, davanti ai loro occhi un cambio epocale senza precedenti.

Nel suo ultimo libro, Moonboy, ambientato per l’appunto nell’Australia di fine anni ‘60, Ciddor ha voluto riportare in vita questo ricordo, utilizzando anche memorie tratte dall’infanzia del marito, cresciuto tra e mure del milkbar di famiglia. La protagonista del libro, Letty, è solita visitare il nonno, ricoverato in una casa di cura e affetto da demenza senile.

Durante una di queste visite, riesce a rinvenire una vecchia scatola dove il nonno conservava oggetti del suo passato, e, magicamente, viene catapultata indietro nel tempo, nell’inverno australiano di quel celeberrimo 1969. Durante questa surreale avventura, Letty conosce Keith, soprannominato "moonboy", un bambino dell’epoca che la introduce non solo ai vecchi modi di dire australiani, ma anche alla realtà dei milkbar.

“Ho deciso di 'rubare' la vita domestica di mio marito questa volta. I milkbar sono pura nostalgia per molti di quelli che li hanno vissuti”, precisa Ciddor. Erano proprio gli italiani e i greci a gestire la maggior parte dei milkbar in quel periodo, e Ciddor ci teneva a riportare, tra le pagine del suo libro, l’esperienza di molte famiglie di migranti del tempo.

Vivere dietro le quinte del negozio, aiutare, sin da bambini, nell’attività commerciale della famiglia, condividere quello stile di vita dove il lavoro e la vita privata spesso si confondevano; non era infatti inusuale che la cameretta dei bambini si trovasse nel retrobottega, vicino al lettino scatolame e pacchi di sigarette anziché modellini di treni e peluche.

“Ho parlato anche con i fratelli maggiori di mio marito, e tutti hanno ricordi molto affettuosi di quel periodo, nonostante vivere dietro un milkbar significasse abitare con il magazzino in casa. C’era sempre un corridoio che portava alla cella frigorifera, ho letto in molti racconti di famiglie italiane. Un bambino raccontava che si sentiva triste quando ascoltava gli amichetti parlare delle loro camerette personali, la sua invece era il deposito del negozio. Era, senza dubbio, una vita dura, fatta di sacrificio e che non conosceva orari; si era pronti a servire i clienti che bussavano alla porta anche ben oltre l’orario di chiusura”.

I primi milkbar in Australia furono aperti dagli emigrati greci durante gli anni ’30; erano presenti in ogni quartiere, e talvolta, a seconda dello Stato, venivano chiamati deli.

Durante le sue ricerche, Ciddor ha raccolto diverse testimonianze di persone che ancora ricordano con nostalgia i pomeriggi trascorsi nel milkbar del quartiere, vicino al jukebox o appoggiati al bancone, mentre sorseggiavano una rinfrescante gazzosa o un gustoso milk-shake. Oppure fuori, davanti al negozio, seduti sul marciapiede a chiacchierare o a giocare per strada. 

“Molti ricordano quando, con pochi centesimi in tasca, potevano comprarsi una busta di caramelle. Una mentina, una jaffa, una liquirizia. Quando andavo nei milkbar degli italiani, le caramelle venivano messe in un sacchettino bianco di carta, che poi veniva chiuso con un semplice gesto, che per me però era magico: facevano girare la busta su se stessa, al contempo attorcigliando gli angoli, finché la busta restava ben sigillata”. 

C’era poi l’indimenticabile milk-shake, molto amato anche dagli adulti. Il segreto stava nell’usare il latte vecchio del giorno prima, servito molto freddo.

“Mio marito è riuscito a ritrovare la ricetta di famiglia, che prevedeva di usare il latte conservato nella parte più fredda del frigorifero, così fredda che a volte bisognava raschiare via il ghiaccio dalle pareti del recipiente. Si prendeva poi un mestolo di latte e vi si aggiungeva un cucchiaio di sciroppo – il più richiesto era quello al cioccolato – ma c’erano anche vaniglia, fragola, lime, banana, ananas. Su richiesta, si poteva anche aggiungere un cucchiaio di malto in polvere. Infine, una grossa pallina di gelato alla vaniglia”.

Il tutto poi veniva frullato in un mixer elettrico, un lusso per molte famiglie dell’epoca, e versato in un bicchiere alto e svasato, fino a che la schiuma riempiva la parte superiore del bicchiere.

Lasciando questi ricordi nostalgici alla Grease, Ciddor ci spiega che anche i suoi precedenti libri, The Boy Who Stepped Through Time e A Message Through Time, si basano sulle avventure di giovani ragazzi che viaggiano indietro nel tempo.

“Mi è venuta questa idea durante una sessione di lettura in una scuola, proprio grazie al commento di un giovane studente”. Entrambi i libri sono ambientati nell’antica Roma, e Tamara Lewit, esperta in materia oltre che Honorary Fellow, School of Historical and Philosophical Studies alla University of Melbourne, nonché sorella di Ciddor, ha assistito nella ricerca. 

“Poiché in Australia lo studio dell’antica Roma è superficiale, l’entrare nell’ottica di un viaggio temporale mi ha permesso di coinvolgere i giovani lettori in maniera efficace, e di educarli al tempo stesso”.

The Boy Who Stepped Through Time, nonostante non sia mai stato tradotto in lingua italiana, è riuscito ad avere un enorme successo in Italia, scalando le classifiche di Amazon senza problemi.