ROMA - A pochi giorni dalla crisi che ha terminato la sua prima esperienza di governo, per il Movimento 5 Stelle ogni mossa potrebbe tramutarsi in un passo falso. L’indecisione sul da farsi è quindi comprensibile a livello umano, ma diventa una grave carenza a livello politico, ed è per questo che per la seconda volta in pochi giorni, torna a farsi sentire Beppe Grillo, ammonendo i suoi a non lasciarsi tentare dalla trappola architettata dai due Matteo. Il primo, Renzi, lancia messaggi di conciliazione, invitando i 5 Stelle ad aderire a un governo “istituzionale” immaginato dai renziani. Il secondo, Salvini, li spinge tra le braccia dell’ex segretario Pd, per poi accusarli di inciucio con il nemico per tenersi la poltrona. È per questo che il garante Beppe Grillo ammonisce i confusi pentastellati a non guardare verso Renzi ma cercare semmai il dialogo con chi rappresenta ufficialmente il Pd, Nicola Zingaretti, che almeno di facciata rappresenta un cambiamento con il passato.
In un’assemblea fiume convocata lunedì da Luigi Di Maio, i 5 Stelle hanno discusso sul da farsi, ma quello che è emerso, oltre a dichiarazioni al veleno contro l’ex alleato di governo, è l’intenzione di rimettere qualsiasi decisione al capo dello Stato, Sergio Mattarella, come chiesto anche da Beppe Grillo nel suo comunicato. Far passare il messaggio di un timore nei confronti delle urne però sarebbe devastante, ed è per questo che nella narrazione di Di Maio si afferma chiaramente che non c’è paura del voto, anzi, ma che prima di terminare la legislatura è importante portare a casa la riforma del numero dei parlamentari, come se da questo dipendesse l’esistenza stessa del Paese.
In realtà anche con l’approvazione della legge il Paese resterebbe impantanato in una crisi pericolosa, ma almeno sarebbe possibile rinviare le elezioni almeno fino al nuovo anno, perché bisognerebbe ridisegnare tutti i collegi elettorali. Anche in questo caso però servirebbe l’appoggio del Pd zingarettiano che, se arrivasse, sancirebbe di fatto la nascita di una maggioranza trasversale, alla quale Mattarella potrebbe appigliarsi per chiedere il proseguo della legislatura, almeno fino al prossimo anno. Di Maio ha assicurato che “nessuno vuole sedersi al tavolo con Renzi”, ma anche il tavolo con Zingaretti si tramuterebbe in un’arma di propaganda efficacissima per Matteo Salvini per cannoneggiare i 5 Stelle.
A meno che davvero, come dicono alcuni, non ci sia una grande fetta di elettorato che aspetta proprio questo per fermare la destra. È lecito dubitarne.
Salvini torna di corsa
nelle braccia di Berlusconi
ROMA - Continuano giorno dopo giorno le giravolte dal leader della Lega. L’ultima, clamorosa, è l’annuncio di essere pronto a tornare tra le braccia di Silvio Berlusconi (nella foto) per formare nuovamente un’alleanza di centrodestra. Dopo aver baldanzosamente annunciato solo giovedì scorso di essere pronto ad andare alle urne da solo contro tutti, sono bastate poche ore al capo del Carroccio per rendersi conto che l’azzardo di una corsa in solitaria potrebbe costargli caro. E così, già domenica, si preparava a ritornare verso il centrodestra. “[A Berlusconi e Meloni] proporrò un patto dell’Italia del sì contro l’Italia del no”, ha affermato Salvini dalle colonne de Il Giornale, non a caso il quotidiano di Arcore.
E senza accorgersi che lo slogan è lo stesso usato da Matteo Renzi durante la disastrosa campagna elettorale del Referendum 2016, Matteo Salvini si avvia così a riciclare il vecchio centrodestra rottamato durante le consultazioni del giugno 2018, memorabili anche per il siparietto in cui Silvio Berlusconi gli faceva il verso mentre il leader del Carroccio, visibilmente imbarazzato, parlava davanti agli italiani dopo il colloquio con Sergio Mattarella.
Acqua passata, assicura il leghista, che ha già incassato l’entusiasta adesione di Giorgia Meloni e di Giovanni Toti.
Quanto a Forza Italia però non si percepisce lo stesso entusiasmo. Nei giorni scorsi Berlusconi ha chiesto alla Lega un chiaro patto pre-elettorale, ossia garanzie che i suoi avranno posti sicuri nelle liste. Ma gli azzurri sono divisi a metà. Da una parte ci sono coloro che da tempo chiedono un riavvicinamento alla Lega, per mettersi in scia nell’ondata dei consensi, ma dall’altra c’è anche chi di Salvini non si fida e da tempo non nasconde piuttosto l’intenzione di saldare un asse dei moderati con i renziani che occupi il centro sguarnito.
L’amara verità però è che di questo progetto non c’è ancora sostanza e quindi in definitiva le strade restano due. La prima è quella di fidarsi della Lega, appoggiare la strategia di Salvini nella gestione della crisi e andare alle elezioni chiedendo il più possibile garanzie. La seconda è invece quella di resistere e dilatare il voto il più possibile e, con i renziani e i centristi, accelerare sulla costruzione di un nuovo soggetto ormai in cantiere da mesi.
Entrambi i percorsi sono però irti di pericoli e incertezze. Forza Italia si gioca la propria sopravvivenza politica.
La strategia di Renzi per sbarazzarsi di Pd e 5 Stelle
ROMA - L’accelerazione della crisi ha costretto l’ex premier Matteo Renzi ad accelerare di conseguenza la creazione del suo nuovo soggetto politico, in incubazione da molto tempo. Secondo il quotidiano La Repubblica sarebbe già pronto sia il nome, Azione Civile, sia il simbolo, e si costituirebbe attorno ai comitati civici sui quali Ettore Rosato e Ivan Scalfarotto stanno lavorando da tempo, persino con incursioni in Australia.
Matteo Renzi però non è convinto che i tempi siano maturi e secondo i piani il nuovo soggetto politico non sarebbe dovuto nascere prima di qualche mese ancora. E così la prima strada da intraprendere è tentare di prendere tempo. A questo è indirizzata la proposta lanciata da Matteo Renzi dalle colonne del Corriere della sera di un governo istituzionale al quale l’ex premier invita ad aderire tutte le forze politiche, dal Pd a forza Italia, dai 5 Stelle alla Lega. Lo scopo sarebbe quello di finalizzare la manovra finanziaria, come vuole Mattarella, approvare la riforma del numero dei parlamentari, come chiedono i 5 Stelle e preparare quindi il Paese alle urne come chiesto da Matteo Salvini e Nicola Zingaretti.
La proposta di Renzi però ha tutta l’aria di essere un assist a Matteo Salvini, non solo perché un’alleanza tra 5 Stelle e renziani massacrerebbe i consensi pentastellati, ma anche perché spaccherebbe in due il Pd, che già ieri in molti davano per finito. Tra questi c’è stato l’europarlamentare dem Carlo Calenda che lo ha detto chiaramente: “Così com’è è finito sicuramente - ha spiegato -, [anche perché ormai] ci sono due Pd: uno ha i gruppi parlamentari e un altro ha il partito”. Secondo Calenda, alla fine il governo di coalizione Pd-M5s si farà: Renzi farà votare ai suoi la fiducia a Conte: “Ha bisogno di più tempo per fare il suo partito. Ma così - conclude l’europarlamentare - offriremo un’occasione gigantesca a Salvini”.
Le parole definitive di Calenda su un’imminente scissione sono state però smentite dalle voci di un riavvicinamento delle due anime del partito avvenuta nella serata di lunedì. Una mediazione che Zingaretti si troverebbe costretto ad accettare per non spaccare il partito e che potrebbe portare alla prosecuzione della legislatura come immaginato da Renzi, includendo persino un pezzo di Forza Italia e Liberi e Uguali. Un governo che però dovrebbe addirittura arrivare fino al 2022, lasciando Salvini all’opposizione a bombardare qualsiasi mossa fatta dall’esecutivo.
Zingaretti vuole le urne,
ma obbedirà a Mattarella
ROMA - La crisi di governo scatenata dalla Lega offre la possibilità a Nicola Zingaretti di andare alle urne, con l’opportunità di ridisegnare a sua immagine e somiglianza i gruppi parlamentari del partito, oggi a stragrande maggioranza renziani. I problemi però per il segretario sono molti. Innanzitutto, non controllando i suoi parlamentari, non può ordinare di votare la sfiducia a Giuseppe Conte, e un voto divisivo, con una parte del Pd che vota contro e una parte che invece appoggia il premier come vorrebbe Matteo Renzi, significherebbe la scissione interna e il tramonto dei dem. Votare poi la sfiducia al presidente del Consiglio firmata da Matteo Salvini e dare così corda alla sua strategia politica, arrivando alle urne in ottobre, significherebbe esporsi ad attacchi durissimi da parte del suo elettorato. Anche perché, se i sondaggi hanno ragione, andare alle elezioni vorrebbe dire far rinascere Silvio Berlusconi e mettere il Paese nelle mani di Salvini. Un prezzo salatissimo da pagare per regolare questioni interne al partito.
E così mentre da un lato Zingaretti dice che “non è credibile l’ipotesi di un governo per fare la manovra economica e portare poi alle elezioni il Paese”, come propone Matteo Renzi, dall’altra si appella all’unità del partito, consapevole di quanto ormai una pericolosa rottura sia dietro l’angolo.
L’ex premier toscano però non cede e continua dritto sulla sua linea. Allora l’unica strada percorribile, come gli suggeriscono sia Paolo Gentiloni che Dario Franceschini, è quella di affidarsi al capo dello Stato, Sergio Mattarella, per il quale andare alle urne è l’ultima ipotesi sul tavolo e farà di tutto per evitarla.
Questo per Zingaretti vorrebbe dire rendersi disponibile a un accordo con il M5s, e perdere l’occasione di riprendere il controllo sul partito. Una scelta che il segretario, dicono in molti, alla fine sarà disponibile a percorrere, ma solo ad alcune condizioni. La prima è che il commissario europeo che il premier Conte deve nominare il 26 agosto sia un uomo di area dem. Se così fosse, il gesto sarebbe giudicato un primo segnale di attendibilità da parte dei 5 Stelle, ai quali però, in caso di formazione di un governo di coalizione per fare la manovra finanziaria, Zingaretti chiederebbe di sacrificare sia Giuseppe Conte, sia Luigi Di Maio, sia tutti i ministri politici. Un prezzo pesantissimo per i 5 Stelle.