Un portiere giramondo. Walter Zenga, una vita dedicata interamente al calcio, ha spento martedi’ 28 aprile 60 candeline. Prima tra i pali dove e’ diventato uno dei portieri piu’ forti del ventesimo secolo, poi da allenatore confrontandosi con paesi e culture diverse: Walter Zenga, coraggioso e sfrontato sia in campo che fuori, non ha mai avuto paura di gettarsi nella mischia, di fare un’uscita anche oltre la sua area piccola. Sia sul campo che dialetticamente. “Vivere facile non e’ roba mia - ha raccontato l’attuale tecnico del Cagliari in un’intervista a Sportweek - e infatti ho scelto i due ruoli piu’ complicati del calcio, i mestieri in cui si paga sempre per tutti, il portiere e l’allenatore. Bisogna avere grandi palle per fare entrambe le cose”. Lui, milanese doc, da giocatore comincia la sua ascesa nelle giovanili della Macallesi e a 11 anni e’ gia’ portiere dell’Inter. Fa tutta la trafila delle giovanili prima di essere ceduto in prestito alla Salernitana, in Serie C1, dove fa l’esordio tra i professionisti. Poi Savona e Sambenedettese prima del ritorno all’Inter: a 23 anni diventa il titolare nerazzurro e si apre un’era.
Dodici lunghi anni, sino al 1994, nel quale Zenga si afferma e vince uno scudetto, una Supercoppa Italiana, due Coppe Uefa e viene anche nominato miglior portiere al mondo. A San Siro e’ un idolo, l’”Uomo Ragno”, un soprannome nato per caso nel 1992 quando Zenga scopri’ di essere stato escluso da Sacchi in Nazionale e si mise a canticchiare “Hanno ucciso l’uomo ragno”. Zenga diventa un simbolo della Milano anticonformista. In azzurro partecipa ai Mondiali del 1986 da terzo portiere, poi nel 1990 nello storico Mondiale italiano non subisce gol per 517 minuti, record assoluto della manifestazione iridata, fino alla famosa semifinale con l’Argentina a Napoli nella quale l’Uomo Ragno esce a vuoto e Caniggia fa 1-1. Il resto e’ storia. Come il passaggio alla Sampdoria in una trattativa che porta Pagliuca all’Inter: tanti infortuni, poche partite giocate e l’ultima parte della carriera tra Padova in Serie B e gli Usa. Da li’ comincia anche la carriera di Zenga da allenatore: Romania, Serbia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Inghilterra. Un tourbillon di avventure, un mordi e fuggi da una citta’ all’altra, da un paese all’altro.
In Italia Zenga esordisce sulla panchina del Catania e dopo due salvezze raggiunte si trasferisce a Palermo, dagli odiati rivali.
Con Zamparini dura cinque mesi, con Ferrero alla Sampdoria quattro. Nel 2017/2018 sfiora una clamorosa salvezza con il Crotone, poi decide di andare al Venezia in Serie B dove colleziona un altro esonero. Poco meno di due mesi fa la firma con il Cagliari, poi la pandemia e un esordio sulla panchina sarda rimandato a data da destinarsi. “Ma non ho perso nulla - ha osservato Zenga - sono tornato in Italia e saro’ il tecnico del Cagliari. Ho gia’ preparato tutto, dagli allenamenti distanziati alla gestione delle partite in luglio e agosto. Intanto festeggero’ il mio 60° compleanno in quarantena ad Asseminello”, con la famiglia bloccata a Dubai “ma comunque vicina perche’ le videotelefonate aiutano. Del resto io per 38 anni della mia vita non ho capito nulla e solo dal momento in cui ne ho compiuti 43 ho imparato cosa vuol dire costruire una famiglia”. Una carriera mai banale, una vita passata a volare tra i pali dentro e fuori dal campo: una vita da Uomo Ragno.