Una piccola crepa è improvvisamente apparsa una decina di giorni fa sulle pareti ben levigate in casa laburista. L’ha causata Sam Dastyari. Per cercare di ripararla, anche se probabilmente qualche segno rimarrà sempre, il senatore del New South Wales dovrà farsi da parte. Con le buone, accettando le sue responsabilità, o con le cattive, forzando cioè Bill Shorten a prendere una decisione in merito e ad agire con la necessaria severità.
Per Dastyari non c’è scampo: i consigli ben poco ‘patriottici’, e ancora meno in linea con le sue responsabilità parlamentari, al riguardo delle indagini dei Servizi segreti nei confronti del generoso sostenitore cinese del Partito laburista, il milionario Huang Xiangmo, sono di estrema gravità. E sembra ci siano altre novità in arrivo al riguardo dei rapporti del senatore con donatori molto vicini al Partito Comunista cinese.
Neanche il tempo di riflettere sul ‘problema’ che nella stanza della Camera la spaccatura è stata ancora più evidente e strutturalmente pericolosa: l’ha causata David Feeney che pagherà di persona la sua superficialità.
Shorten e il partito non gli permetteranno di rimanere a lungo nella squadra d’alternativa. Se non farà lui la mossa di rinunciare alla candidatura bis per il seggio di Batman, dopo la probabilissima decisione dell’Alta Corte a suo sfavore in seguito alla sua quasi certa doppia cittadinanza, ci penserà la direzione del partito a dispensarlo da futuri impegni elettorali, perché gli elettori (e le correnti interne) certe cose non le perdonano.
Ma quello che adesso teme il leader dell’opposizione, che fino ad una settimana fa cominciava veramente a credere nella sua invulnerabilità, è un terzo ‘incidente’ che potrebbe rovinare l’immagine di una ‘casa’ in perfetto ordine. La frattura in questo caso potrebbe averla procurata proprio lui, con la sua scelta in stile Rudd e Gillard, del candidato di grido per le suppletive di Bennelong: l’ex premier del New South Wales Kristina Keneally.
Kevin Rudd e Julia Gillard avevano tentato la carta delle ‘star’ puntando, rispettivamente, su Peter Garrett (ex leader del gruppo rock Midnight Oil) e Bob Carr (politico navigato e di provato spessore, ex capo di governo del NSW) che non hanno di certo brillato molto nel firmamento federale. Shorten ha colto tutti di sorpresa calando l’asso della Keneally, che dalla politica era passata prima ad un ruolo amministrativo/sportivo e poi all’informazione televisiva. L’impatto immediato è stato quello che il leader dell’opposizione si aspettava: massimo interesse mediatico, un certo timore nascosto a stento da parte dell’avversario, curiosità popolare per un’alternativa inaspettata. Poi è arrivata la campagna e sono cominciati gli attacchi su entrambi i fronti con inevitabili riferimenti al passato. E così sono venute fuori un paio di barzellette di cattivo gusto e politicamente ben poco appropriate del difensore del seggio, l’ex tennista John Alexander (che si è ampiamente scusato per gli errori di gioventù), mentre sul fronte politico opposto si è cercato di evidenziare in tutti i modi possibili perché Keneally non è stata riconfermata alla guida del New South Wales e le sue inevitabili amicizie, nel ruolo che era stata chiamata a ricoprire per salvare il salvabile nel mandato delle porte girevoli (tre leader in quattro anni), con personaggi che hanno fatto la storia negativa del partito nel NSW. Al contrario di Alexander, l’ex premier non si è scusata assolutamente di nulla, anzi ha difeso il suo governo, pur cercando di prendere le distanze perlomeno da quel Eddie Obeid finito in carcere per corruzione assieme all’ex ministro, dello stesso governo Keneally (‘scaricato’ in corsa), Ian Macdonald.
La candidata laburista preferisce non ricordare certi particolari, ma gli elettori di Bennelong (oltre il 15 per cento di origine asiatica e circa 2500 ‘italiani’) evidentemente hanno una memoria meno selettiva perché, dopo ‘l’effetto curiosità’ iniziale sembrano orientati a riconfermare il deputato uscente, che si presenterà alle urne sabato prossimo forte di un vantaggio, accumulato in due tornate elettorali, di circa il dieci per cento. Se Keneally non dovesse farcela, sarà Shorten a doversi prendere le responsabilità di avere deciso di saltare a piè pari le normali pratiche per la scelta dei candidati, ignorando cioè gli iscritti e coloro che ancora credono in una graduale scalata verso un ‘posto al sole’, conseguenza di ‘lavoro, merito e impegno’. Applausi tutti suoi quindi se l’ex premier la spunterà, ma sonori fischi e sicuri rimbrotti e malcontento in caso di bocciatura del candidato Vip. E terza crepa che potrebbe ridare un tantino di fiducia ad una Coalizione che ha finito la stagione parlamentare con il tanto atteso voto sui matrimoni gay.
Ogni singolo emendamento respinto, nessuna particolare ‘protezione’ - come chiesto a più riprese dalla corrente più conservatrice del Partito liberale e dai nazionali -, a sfondo religioso e specifiche garanzie per enti caritatevoli. Un cambiamento minimo alla definizione di matrimonio e le assicurazioni ‘che il mondo non cambierà’.
Via libera ufficiale tra applausi, lacrime, bandiere arcobaleno, abbracci, pacche sulle spalle, sorrisi a 32 denti, ma il capitolo rimane aperto e Shorten potrebbe ritrovarsi nei primi mesi del prossimo anno con la ‘grana’ numero quattro. Arriverà infatti la revisione commissionata dal governo all’ex ministro della Giustizia (e dell’Immigrazione) Philip Ruddock sulla ‘libertà di religione’ nell’ambito della legge appena promulgata. Una serie di precisazioni da prendere in considerazione che metteranno alla prova le garanzie di ‘protezione di principi, credo e valori religiosi’ sia di Turnbull che del leader dell’opposizione. Una relazione e qualche possibile aggiunta alla legge sull’equità del matrimonio che potrebbe diventare un’arma elettorale per la Coalizione. Il rapporto di Ruddock sarà esaminato dal Consiglio dei ministri e, quasi sicuramente, porterà a qualche emendamento da dibattere in Aula. Difficilmente i laburisti potranno però cambiare idea al riguardo, dopo quanto visto giovedì scorso con il ‘no’ a qualsiasi aggiustamento o precisazione, alimentando il malcontento nell’elettorato dei sobborghi a Ovest di Sydney e di Melbourne che ha votato massicciamente contro lo storico cambiamento sociale.
Il lungo dibattito parlamentare di giovedì scorso, prima di un voto scontato, non riguardava il principio dei matrimoni gay. Il tema era già stato ampiamente discusso durante la lunga campagna del plebiscito e la vittoria del sì era stata tale da porre fine ad ogni dubbio sulla volontà popolare. Non era stato neanche un tentativo, come hanno sostenuto alcuni nelle file dell’opposizione, di prolungare inutilmente l’inevitabile, ma è stata una chiara dimostrazione che le divisioni all’interno della Coalizione su questa scelta rimangono e che il rapporto Ruddock offrirà qualche nuovo spunto di discussione.
Giovedì scorso la priorità era quella di passare la legge sull’equità del matrimonio, ma il prossimo anno si scenderà nei dettagli e si apriranno nuovi fronti di scontro. I conservatori chiedono e chiederanno più regole e protezioni, molti elettori laburisti in seggi che contano anche: stavolta i rischi del ‘non ascoltare’ riguardano più Shorten che Turnbull.