BUENOS AIRES – “Sono un’attivista per la vecchiaia!” esclama orgogliosa Anabella Consonni, ballerina specialista in tango-terapia, una pratica che migliora la qualità di vita delle persone che soffrono di patologie degenerative come il morbo di Parkinson e di Alzheimer. 

Residente in Uruguay, è membro fondatore dell’Accademia Argentina di Tangoterapia, di fatto una pioniera di questa pratica in Latinoamerica. 

I suoi bisnonni emigrarono in Uruguay dalla provincia di Como e nella sua famiglia si sono mantenute le tradizioni italiane, soprattutto quelle che riguardano le abitudini alimentari.

“Mi sento molto italiana – racconta Anabella –. La domenica ci si ritrovava sempre in famiglia per mangiare insieme pasta e cannoli. Visitando il Paese ho sentito un legame con il modo di essere e di esprimersi”. 

Ed è stato durante un viaggio in Italia, più precisamente in Umbria, che è iniziato il suo percorso nella tango-terapia.

Era a Foligno, alla Sagra della patata rossa, quando una band di musica elettronica iniziò suonare un particolare remix del tango La cumparsita.  

“Il pubblico della terza età iniziò a ballarlo come se fosse un liscio, seguendo il ritmo di due/uno del tango originale, che ormai non si insegna più” ricorda. E racconta che fu proprio in quel viaggio che vide uno spot pubblicitario sulla tango-terapia.

“È incredibile come viaggiare e visitare altri posti ti apra sempre a nuove idee!” osserva. 

“Originalmente il tango è un ballo popolare nato dalla mescolanza di danze di diversi Paesi – racconta Anabella –. Con il tempo subì varie modifiche nel modo in cui viene interpretato. Alla fine dell'Ottocento ebbe molto successo a Parigi, dove si iniziò a insegnare nella versione porteña, più facile, in otto tempi”. 

Anabella spiega che, sebbene associato ai postriboli, il tango in realtà era un ballo popolare che si praticava in ambiti quotidiani, in famiglia e nelle feste di paese. “I miei genitori hanno vissuto per molto tempo, da giovani, in una pensione con persone di molte altre collettività – racconta –. Era normale ritrovarsi il pomeriggio a ballare con la musica della radio, si giocava alla lotteria e si beveva cioccolata calda”. 

Al ritorno dal suo viaggio in Umbria, Anabella si è messa a cercare informazioni sulla tango-terapia. Lavorava come docente alla scuola di commedia musicale di Luis Trochón, dove le venne chiesto di indagare sull’uso del tango per il trattamento di pazienti con Parkinson. 

Per approfondire le sue conoscenze ha frequentato un corso di Psicologia dell'invecchiamento e ha ottenuto un diploma in Musicoterapia.

In seguito, ha esaminato le applicazioni della pratica nei casi di Alzheimer, affiancata dal gerontologo Fernando Parolli e dalla biologa di Arabela Hernandez. Insieme hanno cercato di inquadrare i concetti scientifici più complessi per spiegarli in termini accessibili a tutti nel manuale Tango-terapia: metodología, nel quale Anabella propone un sistema che utilizza questo ballo per migliorare la qualità di vita alle persone affette da malattie degenerative. 

“Con il tango si cerca di ricollegare le persone con alcune delle memorie che costruiscono il nostro senso di identità e appartenenza – spiega Anabella –. Il ritmo e il gesto dell’abbraccio tipico di questo ballo hanno un effetto sulla memoria dell’esperienza motoria, legata all’infanzia. Viene ingaggiata anche la memoria semantica, perché i testi delle canzoni non sono letterali, bensì poetici. Inoltre, la filosofia del tango, che consiste nell’andare avanti nonostante le avversità, aiuta a cambiare i pensieri negativi. Attraverso l’aspetto nostalgico della musica, che riporta a episodi della gioventù, si accede alla memoria emotiva”.

Per Anabella, il ballo è un ponte che restituisce l’autostima alle persone ammalate, ma non solo. L’esperienza delle lezioni di ballo aiuta a dare motivazione e sostegno ai famigliari e alle persone addette alle cure. 

“Quello che faccio non è una medicina, ma aiuta a migliorare la qualità di vita” sottolinea Anabella, che tratta tutti con comprensione e compassione, ma senza pietismi, proprio per mostrare loro rispetto. “Agli anziani che partecipano chiarisco subito che è vietato lamentarsi durante la lezione di ballo – afferma –. È occupando la mente per pensare agli altri che ci si dimentica della propria sofferenza”.  

Anabella spiega che le persone che si ritrovano ad affrontare queste patologie non hanno paura della morte, ma temono la solitudine, ed è per questo essenziale che possano recuperare anche solo alcuni attimi di vita sociale.

“È importante non nascondere queste patologie e dare visibilità ai problemi della terza età, accettando la diversità. La soluzione è in mano ai giovani. Bisogna ripensare come ci dirigiamo a queste persone, come le trattiamo, dare loro dignità”.  

La ballerina fa notare che sebbene si sia estesa l’aspettativa di vita, non sempre ci si impegna in migliorarne la qualità. “Si dà per scontato che gli anziani non possano adattarsi ai tempi e riconsiderare nozioni della loro epoca” aggiunge. 

Attraverso i testi del tango, che spesso narrano situazioni di violenza, negli incontri di ballo propone riflessioni riguardo il ruolo e i diritti delle donne, e conclude: “Qualità di vita è anche capire che possiamo cambiare le nostre idee... avremo tantissimo tempo per farlo”.