BUENOS AIRES – Un ciuffo di capelli, dimenticato in una busta da 48 anni, ha permesso di identificare i resti di un desaparecido dell’ultima dittatura militare.

Si tratta di Walter Zaporta, sequestrato il 4 giugno del 1976, pochi mesi dopo il golpe del 24 marzo, il cui corpo carbonizzato era stato sepolto senza nome nel cimitero de La Plata, insieme con quello del compagno Oscar San Pedro.

I cadaveri erano stati abbandonati in una strada fuori città nella zona di Brandsen (nella Provincia di Buenos Aires) ma, a causa delle condizioni in cui si trovavano, allora non era stato possibile identificarli.

Oggi sí, grazie al lavoro degli scienziati dell’Equipo Argentino de Antropología Forense (EAAF), specializzato nell'attribuzione di identità attraverso i dati genetici. Un’organizzazione non governativa nata per la ricerca dei resti dei desaparecidos della dittatura.

“In questo senso siamo stati pionieri – dice Virginia Urquizu, coordinatrice dell’unidad de casos dell’EAAF –. Ma abbiamo accumulato una vasta esperienza anche in altri contesti, sempre legati all’identificazione di persone scomparse. Spesso, ancora oggi, per violenza istituzionale”. 

Walter e Oscar erano colleghi, autisti di una compagnia di autobus e delegati sindacali. Entrambi furono sequestrati da operativi paramilitari nelle rispettive case.

Walter Zaporta (cortesia EAAF).

Per 48 anni i familiari non hanno saputo niente dei due desaparecidos, finché non è riapparso il ciuffo di capelli, prelevato a suo tempo da uno dei due corpi carbonizzati e conservato un una busta allegata alla documentazione del caso. Le indagini erano state aperte nel 1976, all’indomani del ritrovamento dei cadaveri, e archiviate poco dopo.

È la prima volta che l’identificazione di un desaparecido viene effettuata grazie all’analisi genetica di un reperto a suo tempo ottenuto durante un’indagine giudiziaria.

Come hanno proceduto gli scienziati forensi? Per il tipo di materiale disponibile, i capelli, e il tempo passato, era possibile cercare solo il Dna mitocondriale (i mitocondri sono piccoli organelli nel corpo della cellula), trasmesso per via materna. Il problema è che i ricercatori non avevano un campione genetico materno da confrontare, per verificare la consanguineità. Serviva un campione di Dna nucleare.

“Il Dna mitocondriale – dice il genetista Carlos Vullo dell’EAAF che ha condotto le analisi – identifica un lignaggio, perché non si mescola a quello del padre, ma si trasmette identico dalla madre ai figli. Quindi non permette di identificare un individuo, il cui Dna è unico”.

Osservando meglio i capelli, però, i ricercatori hanno rilevato incrostazioni – presumibilmente di sangue – dove, con un po’ di fortuna e un lavoro molto attento nella fase di estrazione, sarebbe stato possibile rilevare tracce di Dna nucleare. E così è stato.

“Siamo riusciti a sequenziare sia il Dna del nucleo, sia quello mitocondriale di questo ulteriore materiale genetico e l’abbiamo comparato con il Dna mitocondriale dei capelli – continua Vullo –. Così abbiamo verificato che le cellule appartenevano alla stessa persona”.

Poi l’assetto genetico è stato confrontato con un campione prelevato da un altro familiare e si è arrivati alla conclusione dell’esistenza di un vincolo di consanguineità.

La EAAF ha maturato non solo grande esperienza tecnica, ma anche umana. “Acquisita lavorando con le famiglie delle persone scomparse – sottolinea Urquizu –. Credo sia questo che ci differenzia: la relazione con le famiglie. I parenti vengono da noi e iniziano la ricerca di una persona cara morta. È necessario accompagnare, offrire empatia e contenzione”.

Quanto è importante, per chi resta, avere certezze, per quanto dolorose? “È fondamentale, per le famiglie ha senso cercare il corpo, serve a iniziare il processo del lutto – conclude Urquizo –. Ma il nostro lavoro aiuta anche la giustizia e beneficia tutta la società”.