ROMA - “Tutti giocano bene a tennis, il problema sono sempre i piccoli dettagli. Sono riuscito a capire tante cose in questa stagione e ho vinto tante partite con la forza mentale”.

Parola di Jannik Sinner, in una lunga intervista esclusiva a Sky Sport, disponibile da domani. “Quest’anno ho capito tante cose. Ero in una situazione molto difficile e delicata prima dello US Open, per i mesi precedenti, dove ho fatto fatica a comprendere quello che stava succedendo. Però a un certo punto mi sono detto: ‘No Jannik, alla fine è tutto abbastanza irrilevante, perchè questo sport ti può dare soddisfazioni e ti può buttare giù anche moralmente, però alla fine io sto bene’”, racconta l’altoatesino, numero uno al mondo. Sinner è tornato anche sulla vicenda Clostebol e sulla capacità di resistenza, ricordando i giorni che hanno preceduto gli US Open.

“Era difficile innanzitutto perchè non mi potevo aprire con tante persone. Era un periodo molto complicato perché non sapevo come dovevo comportarmi io, di persona, non sapevo cosa sarebbe uscito, non sapevo cosa sarebbe successo con il team - spiega Sinner - Solo che dopo un po’ di settimane mi sono svegliato un mattino e ho detto: ‘Ma alla fine io non ho fatto niente di sbagliato, non sapevo niente, e quindi per me era già passata, poi quello che esce dal giudice, quello che può uscire o non può uscire alla fine io non lo posso più controllare, no?’”.

“Il vero momento difficile secondo me era proprio quando è uscita la notizia, prima di un Grande Slam. Avevamo tutte le camere addosso, era molto dura. Io guardavo gli altri giocatori per capire cosa pensavano veramente. Mi sono fatto tante domande, era difficile preparare un Grande Slam così. In fondo però sono convinto che niente succede per caso, e forse questo caso era proprio per capire chi è tuo amico e chi non lo è. E alla fine non dico che mi ha fatto bene, però mi ha fatto capire tante cose. Certo, è stato complicato quando io sapevo ma ancora non era uscito niente”, aggiunge Sinner.

Un periodo difficile, nel quale “il mio team mi è stato vicino tutto il tempo perchè mi serviva. Per esempio, Darren non è andato a casa in Australia ed e` venuto da me, e` stato con me, mio papà è venuto. Grazie a loro io mi sono sentito al sicuro, protetto”.

Il tennis, conclude, “è il mio lavoro e la mia passione. C’era da separare il problema e il lavoro. E io ho sempre cercato di stare bene in campo, mi sono sempre preparato mentalmente per giocare bene e alla fine proprio per questo io ci sono riuscito. Anche perché, questa è la cosa più importante, se io avessi saputo che era colpa mia, secondo me non avrei giocato così”.