Una decisione dell’ultimo secondo, un sorprendente dribbling degli accordi presi e un successo inaspettato dell’opposizione: un gol in extremis in una partita che che il governo pensava di avere in mano. L’ha segnato Pauline Hanson che, dopo avere ottenuto tutto quello che aveva chiesto durante i negoziati - ormai di rito per far passare qualsiasi tipo di provvedimento dati i numeri nel Senato - con la Coalizione, ha deciso di ‘difendere’ i sindacati, affondando la legge che prevedeva di imporre nuove regole di ‘comportamento’ e, secondo il primo ministro Scott Morrison, di riportare sotto controllo abusi, intimidazioni e presunti privilegi, specie per ciò che riguarda il settore dell’edilizia.

Ma a prescindere del valore pratico dell’iniziativa, la bocciatura è un’autentica umiliazione per il governo che ha chiuso nel più deludente dei modi la sua peggiore settimana dalla vittoria elettorale dello scorso maggio.

Con un’agenda programmatica che più minimalista non si può, perdere la sfida sui sindacati è una battuta d’arresto che non passa inosservata e che fa da prologo ad un’altra possibilissima delusione, grazie all’altra mina vagante del Senato, Jacqui Lambie, sull’abrogazione della legge sull’arrivo in Australia, via ‘certificato medico’ dei detenuti nei centri per richiedenti asilo di Nauru e Manus Island. L’ex caporale dell’esercito non disdegna di certo le telecamere e si sente ormai al centro dell’attenzione, con un politicamente invidiabile ‘potere di ricatto’, ricalcando un po’ le orme di quello che era stato Brian Harradine, anche lui rappresentante della sovrarappresentata Tasmania – dove, grazie alla ‘protezione’ costituzionale degli Stati più piccoli, per diventare senatori basta raccogliere circa un quarto dei voti di quelli che è invece necessario assicurarsi nel Victoria o nel New South Wales -, che per anni ha tenuto sotto scacco governi liberali e laburisti ottenendo in cambio del suo ‘sì’ importanti vantaggi per l’isola-Stato. Lambie è impegnata a fare lo stesso gioco.

Per Morrison perdere anche la partita del ‘medevac’ sarebbe un’altra imbarazzante sconfitta politica in un fine anno da dimenticare, complicato dalla vergognosa crisi della Westpac (che la Hanson ha cercato di abbinare alla sua decisione di bocciare il provvedimento sui sindacati invocando una simile severità per ‘corruzione’ e ‘abusi’  per i vertici delle banche e istituzioni finanziarie) e dagli assurdi auto-inflitti problemi creati dal ministro dell’Energia Angus Taylor (altro servizio a pagina 15).

E, per evitare un’ulteriore possibilissima doccia fredda, il primo ministro ha deciso di togliere, per il momento, un’altra controversa ‘voce’ dalla sua stringata agenda elettorale, rimandando all’anno che verrà la proposta di legge sulla libertà di religione: campo minato in condizioni normali, figuriamoci ora che sta rapidamente svanendo l’effetto del ‘pericolo Shorten’ che sembra avere condizionato le scelte degli elettori a metà anno.

La festa insomma è finita: la realtà delle incertezze economiche, delle inevitabili battute a vuoto in aula a causa di tattiche e opportunismi e le crescenti difficoltà nei rapporti con la Cina, sembra stiano lentamente erodendo la fiducia degli elettori nei confronti del governo. Porter promette che ci saranno i supplementari per ciò che riguarda la legge su diritti e doveri dei sindacati, Hanson giura di non aver tradito nessuno e di non avere mai promesso niente e si riserva il diritto di ripensarci, se e quando la proposta ritornerà in Parlamento (forse già questa settimana alla Camera, con voto bis nel Senato alla prima occasione del prossimo anno). Lambie gigioneggia sul ‘medevac’, ma il primo ministro assicura che non sta succedendo nulla di strano,  che il governo accetta ogni sfida e procederà senza timori sulla strada delle riforme promesse durante la campagna.

E’ una questione di mandato, dice. Non sembra perciò minimamente intenzionato a cambiare strada nemmeno su emissioni e energia: gli obiettivi minimi di Parigi rimangono inalterati e sul fronte energetico non c’è alcun problema di venire meno ad un programma che di fatto non c’è.  Impossibile sbagliare in questo caso e tradire gli elettori: a livello federale si continua a procedere a vista mentre gli Stati vanno avanti per la loro strada in ordine sparso. Lasciando i cittadini e le aziende del settore a cercare di decifrare una situazione con due sole certezze: i prezzi delle bollette continuano ad aumentare e le garanzie di erogazione del servizio non ci sono.

Il ministro della Giustizia e delle Relazioni Industriali intanto parla di accordi segreti tra la Hanson e i sindacati, con inevitabili debiti di riconoscenza che saranno pagati, in modo particolare in Queensland, in occasione delle statali, mentre il ministro dell’Interno Peter Dutton parla apertamente di decisione sbagliata della Hanson che avrà sicuramente ‘spaventato’ il suo elettorato di riferimento e che, per questo, si augura un ripensamento della leader di One Nation non appena il disegno di legge sugli ‘estremismi’ sindacali sarà riproposto all’attenzione del Parlamento.

Un misto di ottimismo e preoccupazione mal celato, un po’ come quello che accompagna Morrison e il ministro del Tesoro Josh Frydenberg ogni volta che parlano di ripresa dietro l’angolo, anche se nessuno riesce a vedere a che distanza è l’angolo: nel frattempo nessuna misura che potrebbe dare l’impressione di panico e, soprattutto, compromettere la promessa ‘clou’ del ritorno in attivo. Ecco quindi quell’anticipo super-prudente di  quattro miliardi di dollari del piano decennale per il potenziamento delle infrastrutture: quattro miliardi in quattro anni sui 100 promessi.

Una goccia nell’oceano degli investimenti che potrebbero avere lo stesso effetto degli ‘stimoli’ degli sgravi fiscali e dei tagli degli interessi da parte della Banca centrale.

Ottimismo comunque d’obbligo perché Morrison e Frydenberg non possono fare altro che tenere la barra dritta sperando che il vento cambi direzione anche a livello internazionale.

Perché niente e più certo e garantito, e meno che meno il consenso elettorale che ormai, senza più credo e bandiere, si basa quasi esclusivamente sulle convenienze e paure del momento.