BUENOS AIRES – Nella cornice cosmopolita della capitale argentina, la Settimana della cucina italiana nel mondo – iniziativa promossa dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – celebra l’eredità gastronomica italiana come patrimonio culturale, simbolo identitario e allo stesso tempo terreno fertile per sostenibilità, innovazione e salute alimentare.
Quest’edizione assume un valore particolare poiché si inserisce nel percorso che vede la cucina italiana candidata a diventare patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
Seguendo il motto “La cucina italiana tra salute, cultura e innovazione”, il Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires coordina un ricco palinsesto di attività: conferenze, showcooking, degustazioni, incontri con scuole, eventi solidali e partecipazione di chef giunti dall’Italia insieme ai professionisti del gruppo BACI, allusivo acronimo di “Buenos Aires cuochi italiani”.
Tra questi ultimi, gli chef italiani Leonardo Fumarola e Luigi Iavarone (conosciuto come Luigi Di Napoli) hanno partecipato a un incontro con in pubblico del Circolo Italiano, dove hanno conversato sulla loro esperienza in Argentina e le tradizioni culinarie dei propri luoghi di orgine, rispettivamentre Puglia e Campania.
I due cuochi hanno sottolineato che il riconoscimento Unesco sarebbe l’esito di un lavoro collettivo portato avanti da generazioni.
Fumarola osserva: “Noi che lavoriamo nella ristorazione tutti i giorni, ci siamo resi conto del valore della nostra cucina e del valore aggiunto che lì possiamo dare… Gli immigrati che sono venuti avevano una determinata cultura. Oggi tutto è cambiato e noi portiamo la cultura attuale al di fuori dell’Italia. È un lavoro che si sta facendo da anni e penso che sia l’apice del riconoscimento della cucina italiana da parte dell’Unesco”.
Per Di Napoli, il valore simbolico di questo percorso trova terreno fertile in una fama che ormai non conosce confini: “Sicuramente avrà la sua ripercussione, se prima era conosciuta la cucina italiana nel mondo, adesso non ha più limiti”. Lo chef riflette anche sulla capacità della tradizione italiana di essere la scelta preferita da molti: “In qualsiasi parte del mondo… se uno deve scegliere tra un tipo di cucina — senza nulla togliere alle altre — sceglie la cucina italiana, perché é gustaosa e per la sua semplicità: è più facile da riprodurre e da trasmettere”.
A queste parole, Fumarola aggiunge con ironica spontaneità: “E da digerire pure.”
Quando si parla degli ingredienti emblematici della cucina italiana nel contesto argentino, emerge l’evoluzione del mercato locale. Fumarola ricorda: “In Argentina, era un po’ difficile trovare tutti i prodotti che uno voleva, e quindi ci si adattava… utilizzando prodotti locali molto buoni per arrivare all’eccellenza della cucina italiana. Oggi ci sono molti più prodotti”.
Secondo Fumarola l’ingrediente fondamentale della cucina italiana è il pomodoro: “Se è di buona qualitá fa una differenza impressionante nel piatto. L’emblema della cucina italiana è lo spaghetto al pomodoro: un piatto apparentemente banale, ma che rappresenta nell’essenza la cucina italiana”.
Lo chef aggiunge anche un dettaglio storico affascinante: “Il pomodoro è una pianta che viene dal Sud America… era giallo, per questo si chiama pomodoro. Poi con il tempo è stato selezionato il rosso. Negli ultimi tempi sta tornando di nuovo di moda usare quelli gialli”.
Di Napoli, invece, punta su due grandi passioni personali, il pesce e il mondo delle farine. “Qua è complicato trovare alcuni prodotti di mare, però quando scovo una buona cernia o qualche triglia, per me è la massima felicità”, dice.
Quanto ai prodotti da forno, lo chef sottolinea la loro complessità: “Il panificato è un mondo a parte… È la specialitá più complessa della gastronomia: per produrlo bene devi essere quasi un meteorologo, perché oltre alla precisione nelle dosi bisogna tenere conto della temperatura e l’umiditá nell’ambiente”. E chiarisce anche un equivoco diffuso: “Molti associano la pizzeria al ristorante… ma la pizza è una cosa molto particolare: il ristorante e la pizzeria sono due cose completamente diverse, è difficile riuscire a fare bene entrambe in uno stesso locale”.
Fumarola sottolinea che la trasmissione autentica della cucina italiana passa necessariamente dall’esperienza diretta del gusto. Secondo lui, non basta studiare o seguire delle ricette: “L’unico modo per riproporre i sapori è conoscendoli nel palato. Per conoscerli bisogna provarli, non c’è un altro metodo”.
Per questo insiste affinché i suoi collaboratori assaggino continuamente, perché solo così possono sviluppare un palato capace di riconoscere e riproporre le sfumature della tradizione italiana.
Fumarola afferma che la cucina italiana può evolversi solo mantenendo come punto di partenza la tradizione. Ricorda che il suo ristorante, L’Adesso, nasce proprio come idea di cucina contemporanea, e all’inizio desiderava proporre piatti molto moderni. Con il tempo, però, ha capito che non si può innovare senza prima avvicinare il pubblico ai sapori autentici... “Come si può far conoscere l’evoluzione di un piatto se ancora non si conosce l’originale?”.
Di Napoli pone l’accento sulla funzione della tradizione come ponte con le radici familiari e culturali degli italiani all’estero. Vivendo in un paese straniero, vede come fondamentale il ruolo della cucina nel mantenere un legame affettivo con il passato e con le generazioni precedenti.
Pur apprezzando una presentazione più moderna ed estetica dei piatti, sottolinea che le ricette devono rimanere quelle di sempre e la cucina italiana deve aggiornarsi senza snaturarsi, preservando la memoria gustativa delle famiglie italiane nel mondo. “Viviamo un’epoca abbastanza complicata per trasmettere queste cose, però si trovano sempre persone curiose. La curiosità è molto importante per scoprire sapori nuovi”, dice.
Luigi racconta che, nonostante alcune difficoltà fisiche, dopo anni con le mani in pasta, grazie a brillanti giovani collaboratori che riescono a padroneggiare tecniche complesse, può realizzare nella sua pasticceria Amayta la sfogliatella riccia “come a Napoli”, dimostrando che la tradizione può vivere anche lontano dalla terra d’origine.