BUENOS AIRES - Arrivato a Buenos Aires grazie a un importante finanziamento europeo (la borsa di studio Marie Skłodowska‑Curie Actions), il sociologo italiano Emanuele Meschini, ricercatore in sociologia dei processi culturali presso l’Università di Bologna, sta portando avanti un progetto ambizioso: comprendere come si sviluppa la cultura all’interno dei dipartimenti di cultura dei club calcistici argentini.
La scelta di dedicarsi ai club argentini nasce dall’incrocio di molte passioni personali e professionali. Non è soltanto un ricercatore: alle spalle ha anche un percorso nelle arti visive, elemento che arricchisce il suo sguardo. Meschini da sempre si occupa di costruzione di comunità, partecipazione e produzione culturale dal basso, temi che, come racconta, sono molto legati al community building e al welfare culturale.
A guidarlo nella comprensione del complesso panorama calcistico di Buenos Aires è stato anche il sociologo argentino Rodrigo Dascal, docente all’Universidad de San Martín e direttore del Museo del River. Con lui ha affrontato la prima grande sfida: scegliere quali squadre includere.
Buenos Aires è una delle città con la maggiore densità calcistica al mondo. Lo stesso Meschini ammette che scegliere un club da solo sarebbe stato impossibile: “Perché magari la fama della squadra non si condice a un dipartimento di cultura particolarmente attivo, poi anche perché serve sempre avere un criterio oggettivo nella ricerca sociale”.
Insieme a Dascal, ha deciso allora di utilizzare la geografia: “Abbiamo scelto che il criterio oggettivo fosse il punto di incontro tra la città e la provincia”. Sono così stati individuati sei club dislocati lungo il confine della Ciudad Autónoma de Buenos Aires, rappresentativi di grandi differenze sociali e identitarie: il River Plate e Platense a nord (nei quartieri residenziali di Nuñez e Saavedra), Argentinos Juniors e Ferro Carril Oeste al centro (nei quartieri di classe media di Paternal e Caballito), Vélez Sarsfield a ovest ( a Liniers, altro quartiere tradizionalmente di classe media), e il Boca Juniors a sud (nel omonimo quartiere popolare).
“Una scelta equilibrata, che comprende due squadre grandi, due medie e due piccole, permettendo così un confronto tra modelli culturali molto diversi,” spiega il ricercatore. “Anche rispetto al tifo, al seguito che hanno le squadre di calcio. E poi, alcune come il Vélez, hanno una propensione estremamente importante per tutto quello che è la costruizione del 'barrio’, per tutto quello che è l'attenzione verso il sociale, per il fatto che sono estremamente legate al quartiere.”
Ciò che Meschini vuole indagare, infatti, è il ruolo culturale e collettivo dei club nella società argentina. Il suo obiettivo è capire come vengono organizzate le attività culturali - corsi, laboratori, iniziative sociali - e quale significato assumano per i soci e per gli abitanti del vicinato.
A colpirlo, durante i primi mesi di ricerca, è stata la differenza tra Italia e Argentina. “In Italia, nonostante siamo un popolo calcistico, non abbiamo la cultura del club – osserva –. Qui invece, il club è molto più della squadra. Attorno a esso si crea una comunità”.
“Per esempio il River, che è una squadra globale, ha comunque le sue attività culturali per i soci. Inoltre, lo stadio è stato il catalizzatore che ha fatto sviluppare il quartiere intorno”.
Lo ha capito anche grazie a un incontro significativo fatto a una mostra fotografica organizzata da Cultura AFA, con Néstor Bente, figura centrale nella storia dell’Huracán: “Mi ha detto che la passione è nella squadra, ma il cuore è nel club. Perchè la partita si gioca un giorno, ma il club si vive tutti gli altri.” Ed è proprio in questi spazi quotidiani — sociali, culturali, di quartiere — che si forma l’identità collettiva.
“Il sociologo Rodrigo Dascal definisce il club come “infrastruttura civica”. Un luogo che permette di socializzare, incontrarsi, sviluppare competenze. E questo è il centro del dell'interesse della mia ricerca.”