BAMAKO - La brutale esecuzione pubblica di Mariam Cissé, una popolare influencer maliana di TikTok con oltre 90.000 follower, ha scosso profondamente il Mali e acceso i riflettori sulla crescente violenza jihadista che dilaga nel Paese. 

La giovane, appena 19enne, è stata rapita e giustiziata da presunti membri del gruppo Jama’at Nasr al-Islam wal-Muslimin (Jnim), legato ad Al-Qaeda, con l’accusa di aver collaborato con l’esercito maliano. Mariam Cissé era infatti nota per i suoi video in cui mostrava sostegno alle forze armate, arrivando spesso a indossare divise militari. 

Il rapimento è avvenuto il 6 novembre 2025 (secondo fonti locali), quando terroristi armati l’hanno prelevata da una fiera locale mentre stava trasmettendo in diretta per i suoi follower. Il giorno successivo, Mariam Cissé è stata portata in motocicletta fino alla Piazza dell’Indipendenza della città di Tonka, nel nord del Mali, e fucilata in pubblico. 

Il gesto “barbarico”, com’è stato definito da fonti della sicurezza, è stato compiuto davanti a una folla e ai suoi familiari, tra cui il fratello, costretto ad assistere alla scena. L’omicidio, è stato anche definito “ignobile” da un funzionario locale, mirava chiaramente a scoraggiare qualsiasi forma di sostegno pubblico alle forze governative e ha generato indignazione e terrore tra la popolazione. 

L’esecuzione di Mariam Cissé si colloca in un contesto di grave crisi e di espansione territoriale da parte di Jnim, che le Nazioni Unite considerano la principale minaccia nel Sahel. Il gruppo jihadista ha intensificato le sue azioni, imponendo blocchi di carburante che hanno causato la chiusura delle scuole e complicato i raccolti in diverse regioni. Jnim finanzia le sue operazioni attraverso rapimenti e l’imposizione di tasse, cercando di implementare la legge islamica e governare indirettamente attraverso accordi con le comunità. 

La giunta militare che governa il Mali dai colpi di Stato del 2020 e 2021 è sempre più criticata per la sua incapacità di frenare l’avanzata jihadista. Di fronte alla crisi, il presidente Assimi Goita ha esortato la popolazione a ridurre gli spostamenti e ha promesso di garantire il rifornimento di carburante. 

Tuttavia, queste dichiarazioni sono state viste come una “terribile ammissione di fallimento” dall’ex esperto indipendente dell’Onu sui diritti umani in Mali, Alioune Tine. Altri analisti, come Bakary Sambe dell’Istituto Timbuktu, sostengono che “lo Stato maliano non controlla più nulla all’interno del suo territorio” e che il regime concentra le sue forze a Bamako unicamente per proteggersi.