BUENOS AIRES - È arrivato a Buenos Aires con una sola aspettativa: fare incetta di souvenir di Diego Armando Maradona.

Il regista Paolo Sorrentino è di passaggio in città, ospite dell’Istituto Italiano di Cultura, prima di dirigersi in Patagonia per condurre un laboratorio internazionale organizzato da Playlab Films, che riunisce dall’1 all’11 dicembre 50 registi di tutto il mondo, per realizzare altrettanti cortometraggi sotto la guida dello stesso Sorrentino.

Racconta con emozione l’incontro con Dalma, la figlia di Maradona, a cui ha potuto spiegare che il mitico calciatore ha rappresentato per lui la possibilità di capire - quando l’ha visto la prima volta, a 14 anni - cosa fosse un grande spettacolo.

“La mia passione per il cinema nasce innanzitutto dalla passione per Maradona - afferma -. Ma non solo. Maradona mi ha salvato la vita, perché un giorno avrei dovuto trovarmi in un luogo di morte e invece stavo in un luogo di vita, cioè una partita di calcio. È il motivo per cui, a 55 anni, sono qui a parlare e non sono morto quando ne avevo 17”.

L’allusione è a un episodio della sua adolescenza, raccontato nel film È stata la Mano di Dio. Quando aveva 17 anni, il regista, per non mancare a una trasferta del Napoli, non andò con i suoi genitori a passare il fine settimana nella casa di montagna di Roccaraso, in Abruzzo, dove si verificò una fuga di gas che uccise la coppia.

I suoi sentimenti per Maradona sono peraltro condiviso da tutta Napoli, un fatto su cui si è interrogato.

“Maradona era uno spettacolo e Napoli è una città che ha sempre amato lo spettacolo - riflette -. È la più importante città teatrale italiana, lo stesso vale per la musica. Da sempre, fa dell’andare in scena la sua prerogativa principale. Se arrivi a Napoli e prendi un taxi, l’autista non solo ti porta a destinazione, ma mette in atto una recita. E per questo ci piaceva tanto Diego, perché il calcio, come lo intendeva lui, era uno spettacolo, era una messa in scena, era un balletto, era un trionfo di conoscenza e di virtuosismi”.

Al cinema, confessa, “sono arrivato quando ho intuito che era una professione che non richiedeva nessuna particolare competenza, come io mi sentivo all’epoca e mi sento ancora adesso. Potevo fare questo lavoro con un po’ di conoscenza di varie cose, musica, immagine, montaggio… Tante cose, ma nessuna approfondita”.

Una qualità, però, è indispensabile per riuscire ad arrivare a un certo livello. “Bisogna avere un universo poetico - afferma Sorrentino -. Questa è la cosa più complicata”.

Nuovo cinema Paradiso, di Giuseppe Tornatore, è stato il film che “mi ha fatto alzare dalla depressione di un divano e mi ha fatto pensare che poteva essere interessante provare ad andare dall’altra parte”.

Nel 2001 realizza il suo primo lungometraggio, L’uomo in più, di cui è anche sceneggiatore, vincitore di vari premi, tra cui il Nastro d’argento per il miglior regista esordiente. Inizia così il sodalizio artistico con Tony Servillo, che sarà protagonista di molti lavori successivi (Le conseguenze dell’amore, Il divo, La grande bellezza…).

In quel film compare anche Peppe Servillo, fratello dell’attore e musicista (è il leader degli Avion Travel). “Sono due persone meravigliose, splendide, buone – è il ricordo del regista di quell’esperienza –. Quindi lavorare con due persone buone è ancora meglio che con una, no?”.

Paolo Sorrentino all’Istituto Italiano di Cultura. (foto: Francesca Capelli)

Sorrentino racconta gli inizi della carriera, i primi passi nel cinema. “Ho avuto il tempo necessario per trovare pian pianino quell’universo poetico di cui un autore ha bisogno per poter fare dei film che siano originali e comunicativi”, dice.

A influenzare la sua poetica sono stati prima di tutto Fellini e Scorsese, poi è arrivata la scoperta del cinema statunitense degli anni ’90 (con i fratelli Coen, Jim Jarmusch, Abel Ferrara, Quentin Tarantino…), un cinema che Sorrentino ritiene “estremamente libero”.

Oggi questa prerogativa è messa a rischio. “Grazie alla diffusione dei social, il peso delle opinioni altrui diventa sempre più pressante e vedo spesso un cinema che fa fatica a frequentare la libertà”, afferma.

“Tarantino è potuto esplodere negli anni Novanta perché era completamente libero di fare quello che gli pareva – spiega –. Una volta un regista combatteva con la censura del produttore, che si preoccupava del successo commerciale, voleva il lieto fine o che si evitassero temi scabrosi. Adesso invece devi combattere contro una moltitudine che non conosci e lavorare è diventato più difficile”.

Da una parte la dittatura del politicamente corretto, dall’altra gli investimenti sempre più esigui dello Stato nella cultura. In Argentina, l’Incaa (l’istituto nazionale per il cinema) è ormai una scatola vuota: nel 2025 non ha prodotto nessun film che non avesse già alle spalle soggetti privati internazionali.

“Anche in Italia lo Stato si sta ritirando dai finanziamenti al cinema - dichiara -. Penso che sia una visione miope, non solo rispetto alla cultura, ma anche rispetto all’economia. In fin dei conti il cinema ha il potere di veicolare il valore più importante per un Paese, cioè la sua reputazione. Un governo che decide di tagliare i fondi al cinema sta commettendo un errore innanzitutto di natura economica e poi di natura culturale. E lo dico in quest’ordine, visto che i politici sono più sensibili ai soldi che alla cultura”.

Sabato 29 novembre Paolo Sorrentino ha offerto una masterclass di cinema, a entrata libera e gratuita, nel complesso teatrale San Martín. La notte stessa era prevista la proiezione all’aria aperta di È stata la mano di Dio, annullata per il maltempo e spostata a sabato 6 dicembre, a mezzanotte, in calle Corrientes, angolo Talcahuano.