Mi auguro che non si arrivi mai a tale assurdità, non credo che Trump meriti di essere associato in alcun modo alla parola “pace”, ma non mi faccio troppe illusioni: se un uomo sanguinario e spietato come Henry Kissinger ha potuto ottenere quell’ambito premio, vuol dire che a Oslo può davvero accadere di tutto.

La lista dei tanti uomini e troppo poche donne che hanno ricevuto il Nobel per la pace è lunga e vi spiccano nomi illustri fra molti illustri sconosciuti. Alcune scelte della commissione aggiudicatrice mi hanno sorpreso e anche infuriato, altre mi hanno reso felice, ma mi mancano gli strumenti per comprendere i criteri con cui, ogni volta, si arriva alla fatidica decisione, col suo inevitabile strascico di delusioni e critiche. 

Così è stato anche quest’anno, col premio assegnato alla venezuelana Maria Corina Machado, che fieramente lotta per il ritorno della democrazia in Venezuela, senza però escludere l’uso della violenza, anche se dovesse tradursi in un’invasione USA.

Le critiche sono piovute sia da destra che da sinistra e c’è chi afferma che la Commissione di Oslo ha preso questa decisione per non dover premiare il Tycoon. Non voglio addentrarmi nella questione, né speculare sulle motivazioni che hanno spinto a conferire il prestigioso riconoscimento alla Machado ma, scorrendo la lista dei candidati delusi, penso che si potesse fare meglio.

Personalmente, se avessi fatto parte della commissione, non avrei esitato ad assegnare il premio a un altro candidato: le ERR o Emergency Response Rooms, che agiscono in Sudan, Paese in cui da due anni è in corso un terribile conflitto, definito dalle Nazioni Unite come la più grave crisi umanitaria dei nostri tempi, una crisi di cui però nessuno si occupa, oscurata com’è dai conflitti in Europa e Medio Oriente.

Non si sarebbe trattato, in questo caso, di premiare una persona e nemmeno una singola associazione: le ERR sono piuttosto una rete diffusa di piccole organizzazioni comunitarie che, dal 2020, svolgono un ruolo essenziale nel fornire sostegno alla popolazione sudanese.

Queste organizzazioni, che promuovono l’auto-aiuto, basate esclusivamente sul volontariato, sono diventate l’ossatura portante della risposta umanitaria alla crisi in corso nel Paese, una crisi che ha portato quasi al collasso dello Stato.
In molte realtà locali, laddove il governo ha cessato di funzionare e le organizzazioni internazionali sono fuggite, solo le ERR resistono, rappresentando l’unico sostegno alle popolazioni sfollate e occupandosi di tutti, a partire dai più fragili: bambini e donne.

Le Emergency Response Rooms avevano già svolto un ruolo centrale nell’assistenza alla popolazione durante la pandemia, con l’organizzazione di mense comunitarie e servizi di assistenza sanitaria diffusi sul vasto territorio sudanese, privo di strutture adeguate.

Quando, nel 2023, è scoppiato il conflitto, hanno incrementato la loro attività arrivando a mobilitare quasi trentamila volontari.
Affidandosi alle locali tradizioni di mutuo soccorso, le ERR operano nei 18 Stati che compongono la complessa realtà del Paese, fornendo servizi sanitari di base, cibo, istruzione, protezione e assistenza psicologica a popolazioni traumatizzate e vittime di violenze di ogni genere. Il loro lavoro raggiunge milioni di civili e rappresenta anche un modello nuovo di assistenza umanitaria, che propone una forma organizzativa orientata alla partecipazione, per coinvolgere le comunità locali nel processo decisione e restituire dignità agli assistiti.

Salvando vite umane e fornendo assistenza concreta, quindi, le ERR perseguono un obiettivo di più largo respiro: ricostruire la società sudanese in attesa della fine delle ostilità. Per superare il trauma degli orrori della guerra, le ERR cercano di diffondere una cultura di compassione e solidarietà che possa rappresentare una forma di rinnovamento democratico, base della rifondazione del paese e della sua società civile, in vista della ricostruzione.

Essere attivi nelle mense comunitarie e nelle altre strutture fondate in questi anni di guerra fratricida in Sudan significa anche correre grossi rischi personali: molti attivisti sono stati catturati, torturati e uccisi a causa del loro impegno nella difesa dei civili.
Una delle caratteristiche delle ERR è la flessibilità, la capacità di adattare le forme e i modi di intervento a seconda dei bisogni delle comunità. Si va dal fondare e sostenere cooperative di donne, alla ristrutturazione delle infrastrutture idrauliche, alla distribuzione di pasti caldi, medicine e materiali per l’igiene personale.

A maggio 2025 l’esercito regolare sudanese ha ripreso un precario controllo della capitale Khartoum, restaurando una qualche forma di normalità nella vita quotidiana di milioni di abitanti. Spiega Duaa Tariq, artista e attivista, imperturbabile, mentre attorno a lei si avverte il rombo delle esplosioni: “Appena Khartoum è tornata a vivere una vita più normale ci siamo subito riorganizzati e dagli interventi di emergenza siamo passati ad attività di ricostruzione sia fisica che morale. Alcuni nostri volontari si stanno occupando di rimettere a posto le scuole, i locali dei quartieri, per rendere possibile l’allestimento di spazi per i bambini e per gli incontri che facciamo con le donne. Portiamo avanti le attività scolastiche di base in attesa che riaprano le scuole. I bambini non vanno a scuola da due anni e le nostre attività si concentrano molto sull’infanzia. In qualche modo prepariamo i piccoli e le loro famiglie al ritorno alla vita normale, lavorando anzitutto sulla mente delle persone. In questi anni siamo precipitati in una condizione di assoluta disumanità. Noi portiamo avanti le nostre attività non solo per assistere la popolazione, ma come atto rivoluzionario: per costruire un Sudan migliore quando tutto questo finirà ci sarà bisogno di un popolo unito, abituato ad essere solidale”.

Di motivazioni buone per assegnare il Nobel per la pace alle Emergency Recovery Rooms ce n’erano davvero tante e sarebbe davvero uno scandalo se la prossima volta il premio dovesse arrivare alla Casa Bianca, anziché in Sudan.
stravagario.aladino@gmail.com