Se n’è andato Vito Cilauro, classe 1930, Cavaliere della Repubblica Italiana, avvocato, opinionista, amministratore calcistico, patriarca migrante, poeta segreto, giardiniere part-time e, cosa forse più difficile di tutte, l’unico uomo al mondo capace di far funzionare una fotocopiatrice... Almeno una volta ogni due tentativi.

È andato via come ha vissuto: con discrezione, circondato dalla sua famiglia, probabilmente con un libro in mano e un bicchiere di cognac, almeno nella testa. Aveva 95 anni, ma ne avrebbe voluti almeno altri 30 per finire di sistemare due o tre testamenti e spiegare a un cliente come vestirsi per il tribunale: “Niente infradito, per favore”, diceva.

Vito nasce nel 1930 a Licodia Eubea, un paesino siciliano dove il tempo si misura in fichi, cicli agricoli e partite di calcio. È lì che impara due cose fondamentali: la resilienza (da sua madre, spesso malata) e l’eleganza (da suo padre, spesso assente). A 11 anni vive da solo a Catania, mentre gli altri bambini collezionano figurine. Lui colleziona responsabilità.

Nel 1951 sbarca a Melbourne, terra promessa per molti, shock culturale per un ragazzo in abito bianco e scarpe abbinate. “A Collingwood, negli anni ’50, bastava essere ben vestiti per sembrare un alieno,” raccontava. Ma la nostalgia ha la meglio e torna in Sicilia per studiare legge. Poi di nuovo in Australia perché, quando mamma chiama, Vito risponde e spesso anche per procura.

Negli anni ‘60, Vito diventa una figura mitica nella comunità italiana di Melbourne: avvocato, mediatore, traduttore simultaneo di norme, consolatore di migranti spaesati e, a tempo perso, organizzatore e presentatore delle danze comunitarie. Da casa sua, ogni mattina, una fila di italiani aspettava consigli legali come fossero pagnotte calde. Nessun biglietto, nessun numero progressivo. Solo fiducia, e magari un po’ di passaparola.

Non contento di difendere i suoi clienti in tribunale, Vito difendeva anche la filosofia, la poesia e il calcio. Scriveva per Il Progresso Italo-Australiano ed era noto per riuscire a citare Seneca durante una disputa su una multa per parcheggio.

Lo sport fu l’altro grande amore della sua vita, dopo Clara ovviamente, la donna che gli diede battaglia sin dalla prima battuta: “Hai sbagliato una parola”, le disse mentre lei faceva un cruciverba. Il romanticismo, secondo Vito, aveva sempre bisogno di un po’ di grammatica.

Dirigente, presidente, consigliere, arbitro morale e talvolta moraleggiante, nel calcio locale e nazionale. Si è speso per gli altri quando il calcio femminile era poco più che un passatempo per coraggiose. Oggi che le Matildas riempiono gli stadi, possiamo dire che aveva visto giusto. E probabilmente lo disse con garbo, ma con fermezza.

Nel 2003 è stato inserito nella ‘Football Australia Hall of Fame’. In quell’occasione, ha raccontato di essere in rapporti di “stretta amicizia” con Pelé. “Lo chiamiamo per nome”, diceva. “Papà, Pelé ha solo un nome”, gli rispondeva il figlio Santo. “Appunto!”, replicava lui.

È impossibile parlare di Vito senza citare The Castle, il film scritto da suo figlio insieme ai colleghi di Working Dog Productions, nel quale il personaggio dell’avvocato Denuto – timido, stropicciato, ma di buon cuore – prende vita direttamente dalla quotidianità dello studio legale di Vito. Dalla fotocopiatrice che non collabora ai dettati infiniti al registratore, fino alla guerra contro i completi sgualciti dei clienti. “Molte cose che succedono nel film, sono successe anche a me”, ha detto a Santo con un mezzo sorriso. E tutti sapevamo quanto fosse vero.

Negli ultimi anni, Vito ha dimostrato che anche in ospedale si può essere ironici. La malattia non l’ha piegato. Nemmeno il cancro che lui, testardamente, ha rifiutato di nominare. “Non ce l’ho”, ha dichiarato. E così, semplicemente, ha continuato a vivere.

Dietro ogni uomo eccezionale, c’è una donna che lo ama. E nel caso di Vito, Clara è stata questo e molto di più. Il loro amore era il tipo di cosa che non si dice ma si vede: tra un abbraccio, una risata e un “passami la giacca, che devo andare in tribunale”.

I figli lo ricordano come un padre ideale, i nipoti come un complice, i colleghi come un gigante discreto. E l’Australia, quella vera, fatta di storie di migrazione e integrazione, di fatiche silenziose e conquiste collettive, lo saluta come uno dei suoi ultimi gentlemen.

Ciao, Vito. La tua esistenza è stata come un ottimo processo: ben argomentata, spesso sorprendente e, alla fine, giusta.