BRUXELLES - Donato Mastropietro aveva appena 11 anni e mezzo quando, nel 1956, lasciò il Molise per raggiungere il padre emigrato in Belgio. La sua esperienza personale si inserisce in una più ampia pagina della storia dell’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, quando migliaia di cittadini del Mezzogiorno partirono verso le miniere belghe. “Dovevamo partire a gennaio, ma i treni per l’estero erano bloccati dalla neve”, racconta Mastropietro. “Siamo rimasti dieci giorni a Campobasso da una zia, poi ritornati a casa. Dopo alcuni mesi, siamo finalmente partiti. Il viaggio durò una trentina d’ore”.
La famiglia si ricongiunse a Souvret, nella regione di Charleroi, zona fortemente industrializzata e centro nevralgico per l’estrazione di carbone. “Lì c’era una miniera e tanti del mio paese erano venuti a lavorare”, spiega. Il Belgio, devastato dalla guerra e affamato di energia, firmò nel 1946 un accordo bilaterale con l’Italia, in base al quale l’Italia si impegnava a inviare 50.000 lavoratori da impiegare nelle miniere di carbone. In cambio, il governo italiano riceveva 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni lavoratore. L’accordo fu spesso definito “uomini in cambio di carbone”, espressione che sintetizza l’asimmetria e le condizioni precarie in cui si trovarono a vivere i migranti.
“Gli italiani alloggiavano nelle baracche dei prigionieri russi, in abitazioni di lamiera intorno alla miniera”, ricorda Mastropietro. Tra le tragedie simbolo di questa migrazione vi è il disastro della miniera di Bois du Cazier, avvenuto proprio nel 1956, anno dell’arrivo di Donato in Belgio: 262 minatori morirono, di cui 136 italiani. “È una miniera tristemente famosa anche per quel disastro. Una ferita che ha segnato tutti”.
L’impatto del trasferimento fu traumatico. “Il primo giorno, alcuni amici di mio padre vennero a prenderci per portarci al cinema. Non volli andare, rimasi a casa a piangere tutta la giornata. Non ritrovavo più il mio ambiente, i miei amici. Rimproveravo a mio padre di avermi portato in Belgio”. Il clima rigido, la lingua sconosciuta e la sensazione di sradicamento contribuirono a rendere difficile l’infanzia di Mastropietro. “Mio padre diceva che saremmo rimasti per un po’ e poi saremmo tornati. Ma dentro di me sapevo che non sarebbe stato così”.
Donato si integrò progressivamente nella nuova realtà. Frequentò la scuola, anche se retrocesso di due classi per facilitare l’apprendimento della lingua francese, e iniziò presto a lavorare. “A 14 anni e mezzo avevo già un impiego nelle fabbriche siderurgiche, mentre la sera frequentavo i corsi serali a Trazegnies e Courcelles. Mio padre non poteva più lavorare in miniera per problemi di salute, così cercai di non essere un peso per la famiglia”.
Il percorso professionale di Mastropietro prese una svolta decisiva nel 1974, quando superò un concorso per il Segretariato Generale del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea. Da lì il trasferimento a Bruxelles, dove ancora oggi vive con la moglie, originaria del Salento, e i loro due figli. Nonostante il radicamento in Belgio, Donato ha sempre mantenuto un legame costante con il suo paese d’origine, Cercepiccola, e con la comunità molisana all’estero.
Nel 1996, in occasione del cinquantenario dell’emigrazione italiana in Belgio, Donato Mastropietro decise di creare un ponte formale tra la memoria storica e la comunità molisana. “Tornato al paese durante l’estate, andai a trovare il sindaco e gli chiesi se fosse a conoscenza del fatto che molti cercepiccolesi avevano lavorato in Belgio. Ne era sorpreso. Gli proposi di venire a trovarci con una delegazione. Venne con il vicepresidente della Regione, il vicesindaco e 14 cittadini. Da lì nacque l’idea dell’Associazione Campomolise”.
L’associazione è diventata un punto di riferimento per la comunità molisana in Belgio, impegnata a mantenere vive le tradizioni culturali e a sostenere iniziative di solidarietà. “Uno degli eventi più sentiti è la Primavera Molisana, che celebriamo ogni anno il 17 maggio. Quest’anno sarà la ventitreesima edizione. Organizziamo anche feste di beneficenza e raccolte fondi per i più bisognosi”, sottolinea Mastropietro.
Tuttavia, come spesso accade per le associazioni di migranti di prima generazione, la partecipazione si è assottigliata con il passare del tempo. “Siamo rimasti in pochi. Le nuove generazioni non hanno più quella attenzione nel voler proseguire questa tradizione. Ma ci manteniamo attivi: siamo in sei nel comitato e contiamo ancora circa 200 soci”.
Nonostante la riduzione del numero di soci e l’indebolimento delle reti associative degli emigrati, come nel caso della Federazione Europea dei Molisani oggi non più attiva, Mastropietro e il suo comitato continuano a operare con convinzione. “Finché ci saremo, continueremo a fare la nostra parte. Il nostro scopo non è solo ricordare il passato, ma anche trasmettere ai giovani il valore delle nostre radici e del sacrificio di chi ci ha preceduto”, afferma.
Per lui, restare in Belgio non è mai stata una scelta disgiunta dall’identità molisana, piuttosto una forma di doppia appartenenza. “Siamo sempre tornati d’estate al paese. Io non ho mai rotto quel legame. L’ho solo portato con me, qui”.